After Life non è sicuramente il tipo di serie che mi trovo normalmente a guardare, ma il motivo della visione è semplice e lo ammetto subito: adoro Ricky Gervais. Per quanto mi riguarda The Office (l’originale inglese) e Extras sono le due migliori commedie della storia della TV e lui stesso è indubbiamente uno dei più brillanti comici viventi. Sono quindi moralmente obbligato a guardare qualsiasi sua produzione.
Partiamo quindi da lui. Lo trovo così brillante perché alla sua comicità dissacrante unisce sempre una forte critica sociale, delle posizioni chiare, e tendenzialmente non scende a compromessi. Non si fa inglobare dal politicamente corretto, anzi, il più delle volte riesce a fare battute esagerate e fuori luogo anche per i suoi standard. Considerando che parte tutto da “there’s been a rape out there!”, non deve essere semplice per lui esagerare. Se consideriamo che nel 2010 è arrivato a essere nominato tra le 100 persone più influenti del mondo di Time, ha dell’incredibile visto il tenore della sua battuta media.
Consiglio la visione del suo ultimo spettacolo Humanity, lo trovate su Netflix. In meno di ottanta minuti avrete chiara la sua filosofia e scoprirete se lo amate o se lo odiate. Tra le altre cose, in due minuti spiega perché a volte una battuta sullo stupro ha perfettamente senso e perché non dobbiamo farci sopraffare dall’angosciante moralismo tanto di moda da qualche anno a questa parte.
Lungi da me dire che tutto quello che tocca diventi oro. I suoi ultimi due film Special Correspondents e il seguito di The Office David Brent Life On The Road sono stati piuttosto deludenti: buttano il tutto troppo in caciara senza focalizzare l’attenzione su elementi davvero divertenti e intelligenti. Il più vecchio The Invention of Lying invece parte da una premessa a dir poco geniale per poi virare tragicamente sulla commedia romantica; ne consiglio comunque la visione in quanto l’idea di base apre la mente come una cannonata.
Torniamo comunque ad After Life. Gervais, oltre a scrivere e dirigere tutti gli episodi, interpreta Tony, un redattore di un piccolo giornale locale al quale pochi mesi prima è morta la moglie di cancro dopo oltre vent’anni di matrimonio. Tony è talmente devastato da tentare il suicidio più volte, fallendo, per poi decidere che da quel momento in avanti vivrà fregandosene completamente delle opinioni della gente e delle conseguenze delle sue azioni. Dirà tutto quello che gli passerà per la testa e farà tutto quello che avrà voglia di fare.
Siamo quindi nel territorio della commedia nera. Si alternano momenti esilaranti, sempre in quello stile sommesso e quasi da vergogna tipico di Gervais, a momenti assolutamente drammatici. I video che gli lascia la moglie sono sempre emozionanti e mai banali. Il tema principale è l’elaborazione del lutto, trattato in modo serio e competente, ma con quel piglio dissacrante utile ad alleggerire l’argomento. Qua e là si scorgono altri temi tanto cari al buon Ricky, una delle storie più toccanti e meglio riuscite è quella di un suicidio assistito, ma non vi dico di più.
Capolavoro quindi? Direi di no. No perché questa volta si sconfina un po’ troppo nel buonismo più becero. Sul finale di stagione in particolare, ma in quasi ogni episodio compare il momento in cui bisogna per forza fare la buona azione o bisogna obbligatoriamente tirare fuori il buon sentimento. Posso capirne l’intento all’interno dell’umore generale della serie, ma avrei apprezzato una maggiore dose di cinismo, quello a cui il comico inglese ci aveva abituato. Che il problema sia l’assenza di Stephen Merchant?
Merchant è il partner di Gervais in tante avventure televisive, cinematografiche e radiofoniche. È con lui il creatore di The Office, Extras e dei suoi primi spettacoli, oltre che l’esilarante interprete di piccole parti di contorno. Senza Merchant abbiamo invece avuto Derek, After Life e i film menzionati sopra. Sicuramente il suo apporto è necessario per creare quel mix esplosivo che tanto ho amato, ma forse non indispensabile in quanto, per esempio, Humanity l’ha scritto Gervais da solo. Probabilmente Ricky è solo un vecchio romantico e il buonismo è parte del suo fare quello che gli pare. Alla fine anche The Office era solamente la storia d’amore tra Tim e Dawn, no?
In ogni caso la prima stagione di After Life è di solo sei episodi da mezz’ora scarsa ognuno. Meno di tre ore. Ci sono delle cose divertenti, delle cose esilaranti, delle cose che fanno riflettere, alcune che fanno commuovere, altre che fanno un po’ venire il latte alle ginocchia. Tutto sommato ne vale la pena, sicuramente riesce a far mettere le cose in prospettiva; aiuta a realizzare che tutti abbiamo dei problemi e che non siamo gli unici esseri viventi nell’universo. Cosa spesso dimenticata da molti.
Luca Di Maio