– Tre ragazzi, di cui due sulla vetta di una piccola collina e uno che si inerpica per raggiungerli;

– in alto a destra: il titolo dell’album “For the first time” (piccola scritta bianca, poco visibile, con la maiuscola solo in testa alla prima parola);

– in basso a sinistra: il nome della band, “Black Country, New Road” (doppio colore – bianco e nero – ogni parola in maiuscolo e caratteri piuttosto grandi);

– in basso a destra: i credits della banca immagini da cui è tratta la foto.

Si presenta così, con questa copertina, il primo album di un settetto di ragazz* inglesi sbalorditivo; uscito nel mese di febbraio di quest’anno, e anticipato da un paio di singoli live negli scorsi due anni. A sorprendere non sono tanto le cifre stilistiche, che già dalla prima traccia Instrumental chiariscono che stiamo risalendo il “sentiero delle briciole” lasciate da qualcuno e che ci portano infatti lontano, a Louisville, e indietro nel tempo, a trent’anni fa. Ma anche negli anni sessanta del rock sperimentale inglese e a Chicago agli albori del free jazz dieci anni prima, e del post rock a metà degli ottanta. No, tutto questo in realtà ci fa subito sentire a casa e ci restituisce in mano il filo di un discorso comunque mai interrotto, ma che si è solo ingarbugliato senza che neppure ce ne accorgessimo, come il cavo degli auricolari dimenticato in una tasca.

A sorprendere davvero è che i Black Country, New Road abbiano fatto un disco con queste sonorità essendo tutti nati dieci anni dopo Spiderland, in un’epoca in cui la musica si è evoluta tantissimo e con essa la tecnologia, ormai in grado anche di manipolarne qualsiasi aspetto. Nessuna distorsione asettica generata da un software customizzato per ottenere effetti speciali, ma chitarre spezzate, piccoli sbalzi di umore dissimulati in un canto quasi sciamanico di iniziazione, saliscendi, perdizione, insomma l’incanto del post-rock con urla a volte soffiate in un sassofono e a volte canalizzate nelle corde di un violino.

Non sappiamo dove andrà questa “new road”, ma sappiamo esattamente dove ci ha riportati consapevolmente, date anche alcune citazioni, talvolta esplicite [“and fled from the stage with the world’s second-best Slint tribute act”] che ci hanno fatto fare un bel balzo indietro, imprigionandoci in quel momento che oscilla tra la gioia della festa e la paranoia di sentirsi degli estranei circondati di sconosciuti e perennemente tagliati fuori.

Sette genietti della lampada hanno esaudito un desiderio: farci tornare ventenni. Per 40 minuti e 44 secondi.

Musicassetta

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