Da almeno un lustro intrattengo questa folle idea di scrivere una biografia romanzata su Blaze Bayley. Ho già pensato ad alcune linee narrative (sì, vorrei raccontare parallelamente tre o quattro momenti della sua vita) e provato a immaginare lo stile in cui scriverlo; magari un giorno lo farò. L’ex cantante degli Iron Maiden ha avuto una vita letteralmente incredibile: gioie, dolori, grandi amori, delusioni, grandi tragedie, marchi a fuoco a vita, ritorni, crolli mentali, crolli fisici. Altro che Rock Star!

Insomma, con la scusa dell’uscita della ristampa del suo secondo album solista Tenth Dimension ho almeno voluto provare a raccontarvelo. A raccontarvi quest’uomo salito alle luci della ribalta al posto sbagliato nel momento sbagliato e dal quel momento bollato come grande sciagura. Ma per quanto mi riguarda rimane uno degli artisti più incompresi del mondo del metal.

Le origini: il sex symbol dei Wolfsbane non diventa oro

Il corpulento ragazzone di Birmingham risulta Bayley Cooke all’anagrafe e debutta musicalmente verso la metà degli anni ottanta con i Wolfsbane. Dopo un po’ di anni nel sottobosco Rock/Metal inglese vengono notati da un certo Rick Rubin e messi sotto contratto dalla sua etichetta Def American.

Questo inizio di carriera lascia già presagire un grande futuro; i Wolfsbane calcheranno i grandi palchi di tutto il globo, Blaze diventerà un sex symbol del rock mondiale con migliaia di ragazze che dovranno scegliere tra lui, Axl Rose e Sebastian Bach, poi dopo qualche anno il gruppo si autodistruggerà tra droga, liti e donne. Giusto? Sbagliato.

I Wolfsbane non decolleranno mai. Rick Rubin non riuscirà a trasformare in oro quanto da loro prodotto, anzi, li abbandonerà presto a loro stessi non essendo riuscito a estrarre qualcosa di vendibile dal loro ruvidissimo rock pesante figlio dei Motorhead. Una cosa importante nel 1990 però la fanno: supportare gli Iron Maiden nel loro tour inglese.

Blaze durante il periodo Wolfsbane

Il posto sbagliato al momento sbagliato: gli Iron Maiden con Steve Harris depresso

Appunto, Bruce Dickinson lascia la vergine di ferro nel 1993, così Steve Harris e soci iniziano la giostra delle audizioni. Si ricordano di quel Blaze Bayley che aveva tirato giù tutto durante il No Prayer on Tour e lo fanno cantare. Contro ogni pronostico dopo una seconda audizione Blaze Bayley è il nuovo cantante degli Iron Maiden.

La scelta è particolare, ma comprensibile, in quanto evidentemente nessuno voleva un clone di Dickinson. Certo avrebbero potuto realizzare che il fatto di non arrivare proprio per niente alle note toccate da Bruce Bruce potesse essere un problema. Blaze è tecnicamente un baritono e semplicemente non possiede l’estensione del tenore Dickinson. Non è sconvolgente, i Maiden avrebbero potuto ri-arrangiare i pezzi in modo da allinearsi alla sua voce, avrebbero potuto mettere in scaletta più canzoni dei primi due album, avrebbero potuto lavorare con lui in modo da rendere il loro sodalizio un successo, o almeno provarci.

I cinque anni di Maiden passano attraverso due bistrattatissimi album, ingiustamente tra l’altro, in quanto The X-Factor potrebbe essere lassù, assieme ai dischi migliori del gruppo. Dico potrebbe in quanto non è esente da difetti; soffre in particolare di quella malattia comune alle produzioni dei primi anni novanta: la grande voglia di occupare tutto lo spazio possibile di un compact disc. Butti via due canzoni, ne accorci un altro paio ed ecco che hai un disco esagerato. Blaze è impressionante: sono i Maiden, ma non sono i Maiden. Immagino che fosse l’effetto voluto. I pezzi sono chiaramente scritti con in mente la sua voce, aiutata dalle atmosfere cupe dettate dalla depressione del buon Steve Harris.

Virtual XI invece soffre di due problemi in più: suono agghiacciante delle chitarre e buona parte delle canzoni scritte per qualcun altro. The Clansman è forse tra i pezzi più belli mai scritti da Steve Harris, ma le successive esibizioni dal vivo dimostrano che fosse stata pensata per Dickinson, almeno inconsciamente. The Angel and The Gambler viene sempre massacrata, per certi versi a ragione, ma provate ad ascoltare l’arrangiamento sul penultimo disco dal vivo di Blaze e forse cambierete almeno un po’ idea. In sostanza, anche Harris e soci potevano e dovevano fare di meglio, anzi, i pezzi su cui ha lavorato anche Bayley non sono affatto male.

In ogni caso il disastro non è in studio, in quanto ritengo che entrambi i dischi con Blaze siano senza dubbio superiori a No Prayer for the Dying (ma ci vuole poco) e anche a Fear of The Dark. Il problema è dal vivo. Le scalette sono dei tour de force devastanti che Bayley non sempre riesce a sostenere al meglio. I compagni non gli fanno sconti in quanto a selezione e arrangiamento, e il pubblico si stanca.

Nell’interessante biografia scritta da un suo ex batterista, Blaze accusa principalmente il pochissimo tempo lasciato per le prove e problemi con le spie come cause della mezza disfatta, e può anche essere parte della storia. Il mio primo concerto dei Maiden fu proprio il Virtual XI Tour nel ’98 a Pesaro e purtroppo (o per fortuna) faccio davvero fatica a giudicarlo obiettivamente. Non avevo ancora quindici anni e per me era semplicemente la cosa più bella del mondo.

Con gli Iron Maiden nel ’95

Fuga per la vittoria: i Blaze

Bruce torna, Adrian torna, Blaze messo alla porta. Lo sappiamo. Il nostro ragazzo si arma di soldi e pazienza, recluta un manipolo di ottimi musicisti e forma un nuovo gruppo, i Blaze. Con questa formazione, più o meno, registra tre album: Silicon Messiah, Tenth Dimenstion e Blood and Belief. Tutto tra il 2000 e il 2004.

Il primo di questa incarnazione siede tranquillamente nella Top 10, forse Top 5 degli album metal del 2000. Ghost in the Machine apre tutto in due, la titletrack è epicamente pesante, Born as a Stranger e The Brave fanno pogare alla morte e Stare at the Sun è uno dei pezzi metal più belli degli ultimi vent’anni. Ogni volta che la sento dal vivo ho la pelle d’oca. Parliamo di heavy metal, senza fronzoli e con suoni moderni, sicuramente in parte debitore a quanto successo nel mondo thrash durante gli anni novanta, ma sempre classicamente metal.

Tenth Dimention rappresenta una flessione in termini di qualità nonostante alcuni pezzi che brilleranno di più in arrangiamenti futuri (Stealing Time e Meant to Be), ma la cosa non stupisce in quanto poco dopo inizia il primo dei suoi tanti momenti di depressione. Soldi finiti, il gruppo inizia a sgretolarsi e l’alcool entra in scena. Gli rimane un album con la SPV, Blood and Belief, e questa volta Blaze abbandona la fantascienza per parlare di sé con ottimi risultati. Uno dei dischi più veri, nudi e crudi della sua discografia. Life and Death, Tearing Yourself to Pieces, Regret e Soundtrack to my Life potrebbero essere inserite ad honorem in una playlist Suicide Metal Finlandese. Musicalmente si notano più influenze moderne quasi panterate e allo stesso tempo degli omaggi Sabbathiani interessanti. Gran disco spesso dimenticato.

Durante questo periodo ho avuto il piacere di vederlo dal vivo alcune volte notando una costante maturazione sia vocale che fisica. Sul palco iniziava a tornare a essere quell’animale visto con i Wolfsbane che non si era mai realmente manifestato con i Maiden. Forse la pressione nella vergine di ferro era troppa?

I Blaze nel 2000

Rinascita e morte: la Blaze Bayley Band

Poco dopo si ritrova impossibilitato ad andare in tour, senza gruppo, senza soldi e senza etichetta. Per un periodo ha iniziato a lavorare in un magazzino di parti di ricambio per auto. Tutto nero e entra in scena Debbie. La sua vecchia fiamma di gioventù, ballerina, quelle relazioni che sembrano destinate a essere perfette e non poter funzionare allo stesso tempo. Lei torna, lo prende per mano, lo tira fuori dalla depressione, gli fa da manager, lo rimette in piedi, gli rimette su un gruppo, fonda la sua etichetta, lo fa rinascere insomma.

Aneurisma cerebrale. Debbie finisce ricoverata per qualche mese, sembrava riprendersi, ma poi lo lascia in seguito a due ictus.

Siamo nell’estate 2008 e durante questo dramma esce il disco della prima rinascita The Man Who Would Not Die. Una bomba atomica. I musicisti coinvolti sono i fratelli Bermudez al basso e chitarra, Lattery Paterson alla batteria e Jay Walsh alla chitarra. La loro provenienza da mondi thrash e death metal old school è evidente in quanto il disco è una bordata in faccia. Anche i momenti più meditati, come il capolavoro While You Were Gone, dedicata la ritorno di Debbie e ora diventata un tristissimo simulacro della sua seconda dipartita, trasudano furia angosciante. Voices From The Past, Smile Back at Death, la Slayeriana Robot e tutte le altre sono semplicemente delle gemme. Ci sono anche momenti quasi sperimentali come Crack in the System.

Dal vivo è al suo apice. Per quanto mi riguarda il disco The Night That Will Not Die è tra i migliori album live di sempre. Provate a entraci dentro. Segue il secondo e ultimo lavoro con la Blaze Bayley Band (già dal precedente i Blaze non esistono più, c’è solo Blaze Bayley, non che cambi molto) Promise and Terror. È spesso sottovalutato, ma lo trovo validissimo. La tetralogia conclusiva racconta l’universo interiore di Blaze durante i terribili mesi successivi alla scomparsa di Debbie, sempre da pelle d’oca.

Il giorno del suo matrimonio con Debbie, nel 2007

Cane sciolto: solista e collaborazioni

Il gruppo si sfalda, ancora una volta Blaze non ha retto la pressione del mondo attorno a sé ed è ripiombato in depressione. Ne esce parzialmente nel 2012 con il peggior disco della sua carriera The King of Metal. Per la prima e unica volta si trova con un gruppo improvvisato e il giovanissimo Thomas Zwijsen dimostra di non essere (o non essere ancora) un songwriter metal. Non si salva niente a parte la struggente ballata voce e pianoforte One More Step.

Non tutti i mali vengono per nuocere in quanto questo disco è riuscito a creare il sodalizio tra Bayley e Zwijsen, decisamente più a suo agio con in mano una chitarra flamenco, che culmina nell’EP Russian Holiday e in uno dei concerti più belli della mia vita.

Immaginate un trio chitarra flamenco, violino e voce maschile baritonale che suona pezzi metal ri-arrangiati. Esiste? Sì, esiste, e il loro concerto che vidi a Praga nel 2013 rimarrà incastonato per sempre nella mia memoria. La presenza della bravissima Anne Bakker al violino è la ciliegina sulla torta. Nella playlist allegata ci sono svariate canzoni registrate tra il 2012 e il 2018 che sfoggiano questa assurda combinazione. La migliore è forse Judgement of the Heaven (da The X-Factor), ma anche la già menzionata Stealing Time, 2 A.M. e Soundtrack of my Life sono degli ottimi esempi. La composizioni originali purtroppo non sono troppo all’altezza con l’eccezione di Russian Holiday. Certo Love of my Life dall’EP uscito nel 2018 fa incredibilmente ridere. Però erano da vedere dal vivo.

Con Thomas Zwijsen e Anne Bakker nel 2014

Stabilità: la nuova band e la trilogia di Infinite Entanglement

Nel 2014 Blaze presta la voce al gruppo bulgaro John Steel, l’album Freedom è una gemma nascosta, e nello stesso periodo trova finalmente una nuova lineup stabile. Chris Appleton è un partner di songwriting molto valido che riesce a catturare piuttosto bene lo stile del cantante. C’è grande fiducia, così tanta fiducia che viene pianificata una trilogia di album con una storia fantascientifica che si snoda attraverso i tre dischi.

I dischi sono solidi. Estremamente solidi. Forse gli manca il coraggio di Silicon Messiah, il dolore di Blood of Belief e l’incazzo disperato di The Man Who Would Not Die, ma poi ci sono loro, tutti e tre mantengono un livello altissimo. Pezzi tiratissimi sullo stile delle varie Man on The Edge, Futureal e The Lunch si alternano a mid-tempo più meditati dove il vibrato di Blaze fa tremare i muri. Sono presenti anche un paio di ballate acustiche di una bellezza unica. Remember è da pelle d’oca, Together We Could Move the Sun e 18 Days sono struggenti, Calling You Home, A Thousand Years e Eating Lies estremamente coinvolgenti. Insomma, dei gran dischi.

Con la band attuale e l’ospite Luke Appleton (Iced Earth) nel 2019

Semplicemente Blaze Bayley

Vocalmente il ragazzone continua a migliorare. Gli ho sentito cantare egregiamente Fear of The Dark (nella playlist trovate una versione con Doro, ma in acustico arrangiata per lui è ancora meglio), Doctor Doctor degli UFO, Wasted Years e addirittura Blood Brothers (nella playlist). Il suo vibrato è devastante; ricorda un po’ Messiah Marcolin in versione baritono o Warrel Dane nelle giornate buone. In acustico ogni tanto canta qualche verso senza microfono e fa davvero paura. Se solo avesse avuto questa fiducia in sé stesso durante gli anni dei Maiden.

È evidente che suonare di fronte a venti persone sia terribilmente diverso rispetto a farlo di fronte a ventimila. È altrettanto evidente che poter cantare nel proprio registro sia fondamentale. È ancora evidente che venticinque anni di esperienza in più possano fare la differenza. Ritengo che semplicemente dovesse andare così. Bruce Dickinson è al suo posto, purtroppo è Blaze quello che si meriterebbe ben altri palchi, soprattutto in periodi in cui gruppi imbarazzanti come Powerwolf e Sabaton quasi riempiono i palazzetti.

Vederlo dal vivo è sempre un’esperienza quasi catartica che culmina nelle sue lunghe litanie riguardo l’attitudine di vita. Il testo di One More Step ne è il riassunto perfetto con quella filosofia alla Rocky del “non è importante cadere, l’importante è rimettersi in piedi”. È il suo mantra e di fatto la storia della sua vita; quante volte si è trovato senza niente? Quante volte è ripartito da zero? Magari farà sorridere che dopo oltre trent’anni di carriera si trovi a suonare in piccoli bar di fronte a poche decine di persone, ma nonostante tutto riesce a vivere di musica, vive grazie a quello che ama. Fa almeno un centinaio di concerti all’anno dove suona principalmente sue canzoni, sforna regolarmente ottimi dischi ed ha cantato per il più grande gruppo metal della storia. Io lo stimo, voi riscopritelo.

Luca Di Maio

 

Assieme al sottoscritto, al Mojito di Imola nel 2015
4.8 8 votes
Article Rating