Se volete sapere cosa significa fare heavy metal nel 2021 ascoltatevi The Power of Nikola Tesla dal nuovo album di Blaze Bayley War Within Me. C’è tutto. In ordine:
- La carogna. Il tiro. L’incazzo. Quello che un mio grande amico chiama “il PORCOD**”.
- Un titolo e un tema all’apparenza sciocchi, ma che nascondono lezioni di storia e riflessioni sull’umanità.
- Mostrare chiare influenze dei gruppi che il genere l’hanno inventato, ma senza scimmiottarli palesemente.
- Non essere la caricatura dell’ombra del fantasma dello sfigato di te stesso.
- La carogna. Il tiro. L’incazzo. Quello che un mio grande amico chiama “il PORCOD**” (è importante).
Blaze Bayley è tutto questo e War Within Me lo dimostra ancora di più. Nonostante tutto non penso sia il suo lavoro migliore. Rimango dell’idea che Silicon Messiah e The Man Who Would Not Die siano superiori in quanto integrano molto bene elementi estranei al mondo classicamente heavy metal, ma il nuovo lavoro potrebbe essere il punto più alto raggiunto con l’attuale formazione, ormai al quarto album.
In primis è inevitabile menzionare l’incredibile lavoro chitarristico di Chris Appleton. Wow! Si alternano senza sosta riff solidissimi a assolo al fulmicotone. I solo in particolare riescono a non essere mai masturbatori fine a loro stessi, equilibrando una fortissima dose di melodia con livelli di tecnica e velocità assolutamente impressionanti. Siamo al cospetto del chitarrista metal più sottovalutato del momento.
La prestazione vocale di Blaze è come sempre di altissimo livello. Purtroppo la sua voce è piazzata insolitamente un po’ più indietro nel mix e talvolta fatica a uscire, quando siamo invece abituati a sentirlo come dal comodino. Su Every Storm Ends riesce comunque a dimostrare la sua tecnica e la sua estensione. Se solo fosse stato a questi livelli durante gli anni dei Maiden forse la storia sarebbe stata diversa.
Poi ci sono i pezzi. E si torna alle caratteristiche dell’heavy metal 2021. Quelli più semplici e diretti seguono una banalissima struttura strofa / bridge / ritornello per due volte, assolo, ritornello tirato e fine. E va bene così. Perché tutto il resto tiene alla perfezione. Di questa struttura trita e ritrita mi lamento riguardo Fear of The Dark degli Iron Maiden, ma la differenza è che Chains of Misery e Weekend Warrior “il PORCOD**” non sanno nemmeno cosa sia. E sono esattamente la caricatura del fantasma dei Maiden. Qui 18 Flights e la già menzionata The Power of Nikola Tesla spaccano tutti i culi possibili mantenendo una personalità chiara e identificabile nella loro semplicità.
Tornando proprio al pezzo menzionato in apertura, confermo che mi sconvolge nella sua perfetta banalità. Attacco con riff furioso, entrano basso e batteria, poi la chitarra solista e infine Blaze con la strofa. La sua voce deve piacere, altrimenti lasciate perdere. Segue un bridge rapido che si apre in un ritornello tanto orecchiabile quanto coinvolgente. La seconda strofa alza il volume ed è seguita nuovamente dall’accoppiata bridge e ritornello. Al secondo giro di ritornello sono già in piedi sul divano. Vorrei essere tra le venti persone sotto il suo palco a urlarglielo in faccia. Poi arriva un assolo molto melodico, anche piuttosto lungo considerando i 3 minuti e 10 secondi del pezzo. Ritornello, e ancora più di prima vorrei urlarlo con tutta la voce che ho. Ritorno del riff di apertura e fine.
Titolo un po’ così, forse Power in the Air sarebbe stato meglio, ma va bene così. Il testo è una riflessione su quello che avrebbe potuto fare Tesla per l’umanità se solo glielo avessero lasciato fare. Scuola Steve Harris senza dubbio. Sono evidenti le influenze dei giganti del genere, ma allo stesso tempo non ne scimmiotta nessuno; il pezzo ha la sua identità perfettamente riconoscibile in quest’ultima incarnazione del gruppo di Blaze, attiva in studio dal 2015. E ha una carogna devastante.
Lo stesso vale per tutto il disco che scorre tra pezzi semplici e diretti, la quasi ballata Every Storm Ends, un paio di mid-tempo motivazionali (Pull Yourself Up sfoggia anche una struttura anomala molto interessante) e quello che è forse il primo pezzo palesemente Maideniano della sua discografia: The Unstoppable Stephen Hawking. Il titolo è sempre un po’ così, ma il pezzo è davvero ben scritto. Se possibile è un omaggio ai Maiden più recenti, quelli in cui Blaze non ha mai militato e di cui non ha mai cantato nulla a parte una versione acustica di Blood Brothers. Tuttavia non li scimmiotta; Chris Appleton non vuole imitare nessuno e Blaze certamente rimane sé stesso, ma le ritmiche portano indubbiamente alla mente quanto prodotto dalla Vergine di Ferro negli ultimi anni.
L’obiettivo dichiarato di Blaze per questo disco era quello di far uscire l’ascoltatore con un pieno di positività, e non poteva centrarlo in modo migliore. I suoi dischi sono generalmente permeati da un mood piuttosto cupo abbinato a una certa filosofia alla Rocky del tipo “l’importante non è cadere, ma rialzarsi sempre”; invece questa volta la filosofia alla Rocky rimane, ma è montata su pezzi che strappano il sorriso. Quasi a ogni assolo è impossibile non ritrovarsi con quel ghigno solitamente riservato a quelle epifanie positive, quelle che fanno dire agli altri “a cosa stai pensando di così bello?”. E in mezzo a tutta questa merda penso si tratti di un regalo meraviglioso.
Ripeto quanto ho scritto nella sua monografia qualche mese fa: in un periodo storico in cui gruppi imbarazzanti come Powerwolf e Sabaton riempiono i palazzetti, Blaze Bayley dovrebbe riempire gli stadi. E invece suona di fronte e poche decine di persone. Nessuno ha mai detto che il mondo debba essere giusto, ma a volte fa proprio schifo.
Luca Di Maio
La playlist è una retrospettiva creata per la monografia con l’aggiunta di una selezione da War Within Me. Buon Blaze a tutti.
[…] di battere il metallo finché è caldo, in scia alla recensione dell’ottimo War Within Me di Blaze Bayley scritta dal buon Luca, interrompo il mio silenzio da “critico” musicale (nel senso più sfigato del termine, ci […]