Iniziai ad ascoltare i Candlemass in occasione della loro prima reunion con Messiah Marcolin, attorno al 2002. Comprai le ristampe dei primi quattro album e li imparai a memoria. Lessi avidamente tutti i testi, tutte le annotazioni, tutte le storie incluse in quelle ottime edizioni. Epicus Doomicus Metallicus è senza dubbio uno degli album di debutto più incisivi di sempre, e assieme a Nightfall, Ancient Dreams e in minor parte Tales of Creation forma una tetralogia che ha pochi eguali nella storia del metal.

Il loro Doom è un direttissimo discendente dei Black Sabbath, senza vergogna alcuna, tanto che Ancient Drems include un medley di pezzi dei Sabbath come ultima canzone. Il marchio di fabbrica di Leif Edling al basso (ma soprattutto come autore di praticamente tutte le canzoni), di Mappe Bjiorkman alla chitarra ritmica e di Lasse Johansson ai velocissimi assoli sono però la loro eredità al mondo del metal, una corretta e pesante evoluzione di quanto scritto da Iommi e soci negli anni settanta. Poi ci sono i cantanti: tutti e sei bravissimi, ma storicamente oscurati dall’ingombrantissima presenza (in tutti i sensi) del tenore Messiah Marcolin.

Nei quasi vent’anni da quando iniziai ad ascoltarli non ero mai riuscito a vederli dal vivo. Messiah è tornato e se n’è andato un paio di volte, sono passati Robert Lowe e Mats Leven, mentre l’anno scorso è tornato colui che cantò su Epicus Doomicus Metallicus: il sottovalutatissimo Johan Langqvist, 33 anni dopo l’album di debutto. I dischi degli anni duemila rimangono validi, purtroppo non realmente memorabili, ma assolutamente di buona fattura.

Con il ritorno di Langqvist hanno invece fatto le cose in grande e The Door To Doom riesce a ergersi al di sopra della media, non arriva ai fasti degli anni ottanta, ma ci restituisce un suono fresco di un gruppo che ha ancora voglia di spaccare. Trovate Astorolus – The Great Octopus inserita tra il mio meglio del 2019, pezzo che è stato incredibilmente nominato ai Grammy e che include un assolo di sua maestà Toni Iommi (chiusura del cerchio: Iommi e Langqvist, non male).

Tutta questa lunghissima premessa ha il solo scopo di condividere il mio grande amore per i doomsters svedesi e di farvi capire la mia incredibile voglia di vederli dal vivo per la prima volta, Sabato 18 Gennaio in quel di Paderno Dugnano in provincia di Milano. Si trattava di un mini festival di cui abbiamo visto solo Candlemass e Novembre.

Il gruppo romano ha presentato una scaletta incentrata sui primi tre album usciti a cavallo del nuovo millennio. Non ascoltavo quei dischi da allora e le sensazioni sono state principalmente due: grandissimi pezzi, non me li ricordavo così violenti e svedesi, ma allo stesso tempo così rarefatti alla Opeth, questo gruppo non avrebbe nulla da invidiare ad altri che vivono di musica. Poi mi sono reso conto di quanto sia datato questo genere, di quanto sia perfettamente collocabile nel suo periodo storico. Come quando ascoltiamo Whoracle degli In Flames o The Gallery dei Dark Trabquillity: non potrebbero essere stati scritti in nessun periodo diverso. Al contrario, la musica dei Candlemass trascende i decenni, soprattutto dal vivo. I Novembre in realtà si sono poi evoluti passando a un rock gotico abbastanza progressivo che riesce nella stessa impresa, ma i pezzi di quel periodo hanno un marchio temporale che sarà difficile da togliere.

Finalmente arrivano i nostri. Non sapevo cosa aspettarmi, ormai tutti quasi sessantenni, con un cantante storico, ma sostanzialmente nuovo, a suonare canzoni di oltre trent’anni fa; sarà solamente un carrozzone nostalgico senza né arte né parte?

No. Apre The Well Of Souls e capiamo subito tutto. Langqvist è vocalmente in una forma strepitosa e riesce a non sfigurare nemmeno sui pezzi di Messiah Marcolin. Non arriva alle note più alte, ma non ci prova nemmeno, usa sapientemente la sua voce in modo da risultare sempre incisivo e preciso. Ricorda un vecchio motociclista svogliato, ma con il microfono in mano è un vero animale. Gli altri sfoggiano un’ottima presenza scenica, si muovono e giocano continuamente con il pubblico riuscendo a farci tenere sempre i pugni rivolti verso il cielo.

Il concerto prosegue con Dark Reflections e Mirror Mirror, sempre dal periodo Marcolin, poi salta al presente con l’ottima Astorolus, ben accolta dal pubblico, e di nuovo indietro con Bewitched e Dark are the Veils of Death, da quel capolavoro che è Nightfall. Il locale è pieno, il pubblico è carico, si canta, si fa headbanging, a turno scherzano un po’ tutti al microfono; è una festa tra amici, una celebrazione, quello che dovrebbero essere tutti i concerti.

La chiusura è affidata a tutto Epicus Doomicus Metallicus, con l’esclusione di Black Stone Wielder, e suonato in ordine sparso. Under the Oak è un momento altissimo, con Langqvist protagonista della sua migliore interpretazione in assoluto. A Sorcerer’s Pledge è uno dei pezzi metal più belli della storia e dal vivo viene confermato. Il bis è riservato a Demons Gate, Crystal Ball e Solitude. Tutto bellissimo, tutto devastante.

Non è facile risultare così simpatici, carichi, divertenti, anche scanzonati quando il tuo pezzo di chiusura ripete all’infinito “please let me die in solitude”, ma loro ci sono riusciti in pieno. Solitude non prevede alcuna ironia, è una canzone cupa sicuramente rappresentativa dell’Edling adolescente che la scrisse. Poi è cresciuto, anche gli altri sono cresciuti, e hanno imparato a prendere tutto con la giusta dose di ironia, riuscendo a trasferirla magistralmente al pubblico.

Usciamo soddisfatti, sicuramente avrei voluto sentire tutto il resto di Nightfall (cantavo Samarithan da giorni prima del concerto) e tanto altro, ma va bene così, ho imparato da tempo a godermi il momento, e questa volta di godimento ce n’è stato davvero tanto.

Luca Di Maio

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