Non mi capita spesso di venire stregato da un libro in libreria. Di solito sono piuttosto metodico e tutto quello che voglio, lo compro (poi chissà quando leggo, ma vabbè). Magari in una libreria fisica, entro con passo sicuro e afferro quello che voglio; se non lo trovo, chiedo e me ne torno a casa con il libro che volevo. Raramente mi capita di trovarmi per le mani un volume che non conoscevo, sorprendermi a sfogliarlo, e dopo pochi secondi senza saperlo aver già deciso che verrà a casa come me.

È stato il caso di Che cosa vediamo quando leggiamo di Peter Mendelsund. Mendelsund è un designer e art director, famoso per aver concepito svariate bellissime copertine di alcune ristampe di grandi classici della letteratura. È un libro che parla di immaginazione, di quanto di quello che leggiamo sia davvero scritto sulle pagine, di quanto sia soltanto nella nostra testa. I concetti che illustra sono semplici, quasi banali talvolta, ma non meno illuminanti.

La lettura come performance e noi lettori siamo sia il direttore che l’orchestra, ma anche il pubblico. Il libro è libertà; rispetto all’immagine in movimento quando leggiamo vediamo molto poco, ed è forse proprio quello che vogliamo. Leggere è letteralmente sognare a occhi aperti. Non vediamo veramente quello che leggiamo; crediamo di vederlo, ma quello che abbiamo davanti agli occhi è solo uno schizzo, un contorno con qualche particolare in evidenza. Dovremmo sapere tutto ciò, ma non possiamo saperlo davvero, altrimenti il castello crolla. E anche dopo aver letto questo libro, lo dimentichiamo, perché abbiamo bisogno di credere di vedere. Ed è proprio questo il bello.

Nel carosello ci sono un po’ di pagine, ma gli spunti sono molti di più. La sua ironia è sintonizzata sulla mia frequenza esatta riuscendo puntualmente a farmi ridere quando sono certo stesse ridendo anche lui. È davvero un bel volume utilissimo per chi scrive e illuminante per chi legge.

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