In un momento storico in cui i Fear Factory si apprestano a entrare nella loro quarta fase, la prima senza Burton C. Bell, ho iniziato a chiedermi chi siano veramente. Chi è la vera forza trainante del gruppo? È sufficiente Dino Cazares? Ci vuole per forza anche Burton? E Christian Olde Wolbers? Raymond Herrera? E un certo Rhys Fulber?

Il primo passo è stato quello di ragionare su quali fossero i loro capolavori, cosa su cui ho le idee molto chiare, poi di studiare le varie formazioni in modo da capire chi sia realmente fondamentale. Cominciamo prima dai dischi e poi vediamo i cinque membri e le loro varie combinazioni.

I Dischi

Ora cercherò di riassumere la loro discografia nel più breve tempo possibile, escludendo gli album di remix in quanto non sono realmente parte del suono del gruppo. Nel 1991 registrano il loro primo album Concrete con il padre fondatore del Nu-Metal Ross Robinson; il disco non vedrà la luce subito e uscirà solo l’anno successivo in una versione riveduta e corretta prodotto da Colin Richardson e con il titolo Soul of a New Machine. Siamo in territori a metà tra il death e il thrash metal; sono presenti elementi industriali, ma ancora in forma embrionale. Il mix di Richardson li ha sicuramente accentuati rispetto al proto-nu-metal di quello di Robinson, ma sono ancora acerbi. Un disco formativo. Il mix originale uscirà solo nel 2002.

Nel ’95 arriva Demanufacture e il mondo cambia. Due variazioni rispetto al debutto: Rhys Fulber in produzione (il numero due del progetto industrial/old school EBM Front Line Assembly) e Christian Olde Wolbers al basso. Se il primo album era l’anima della nuova macchina, con Demanufacture abbiamo il parto: elementi industriali, ritmiche serrate e melodie quasi fuori posto nel genere. Non si era mai sentito nulla di simile. Il 1998 è l’anno della maturità con Obsolete: per quanto mi riguarda l’apogeo del gruppo. Violenza, freddezza, melodia, brutalità, disperazione e anche dolcezza. È un disco che non esito a definire perfetto.

Con il 2001 e Digimortal inizia la parabola discendente. Il primo album che smette di aggiungere qualcosa, anzi, si piega in parte alle logiche del dilagante nu-metal, ma lo fa in grave ritardo riuscendo a perdere tutti i treni possibili. Il gruppo si scioglie in mezzo alle prime tragiche tensioni tra i membri. La sezione ritmica si riunisce con Burton l’anno successivo, di fatto estromettendo Cazares, e con Wolbers che passa alla chitarra. Questa formazione partorisce Archetype nel 2004 e Transgression nel 2005. Il primo è un disco discreto che torna ai suoni di Demanufacture, ma è senz’anima e continua a non aggiungere nulla, mentre il secondo è uno spettacolare fallimento. Il primo lavoro da Demanufacture senza Fulber in cabina di regia e con Toby Wright al suo posto suona come un triste demo e contiene addirittura due cover.

Nuovo dramma. Herrera e Wolbers messi alla porta, torna Cazares e comincia una porta girevole alla sezione ritmica, oltre che una lunghissima causa per i diritti su nome e catalogo che terminerà solo nell’autunno del 2020. Nel 2010, 2012 e 2015 escono rispettivamente Mechanize, The Industrialist e Genexus. A parte le grottesche copertine tutte uguali dai tempi di Archetype, si tratta di buoni dischi. Fulber è di nuovo alla produzione, su The Industrialist è anche co-autore, Burton urla, Cazares scassa con la ritmica, su Mechanize ci godiamo anche un po’ di Gene Hoglan, ma rimangono lavori poco memorabili. La drum machine su The Industrialist non si può sentire, spesso i ritornelli melodici sembrano obbligatori e forzati e insomma, non si inventa niente, ma almeno non si fa schifo tipo Digimortal e Transgression.

Nei primi tre album il gruppo era avanti almeno dieci anni rispetto agli altri, poi tra passi falsi, disastri, ritorni al passato, cambi di formazione, cause e drammi tutto è cambiato. Gli ultimi tre dischi non sono da buttare, ma sono il compitino fatto con la mano sinistra, sono quello che la gente si aspetta da loro e che gli dà i soldi per mangiare. Obsolete è uscito nel ’98, Demanufacture nel ’95, il mondo è andato avanti, mentre i Fear Factory si sono fermati facendosi sorpassare da tutto il resto del pianeta su cui avevano almeno una decade di vantaggio.

Detto questo, chi è l’anima dei migliori Fear Factory?

Burton C. Bell?

Risposta troppo facile. È l’unico presente su tutti i dischi, incluso l’imminente Monolith nonostante la sua uscita del gruppo, è l’autore di tutti i testi ed è stata una delle voci più innovative degli anni novanta. Purtroppo ha partecipato anche a tutti gli scempi e a tutti gli album insipidi, quindi non sembra lui la chiave.

Dino Cazares?

Dino ha il pregio di non essere stato coinvolto in Transgression, ma per il resto vale il discorso di Burton. Ha scritto tutte le musiche ed è sicuramente uno dei principali artefici del suono del gruppo, ma la sua presenza in così tanti album poco incisivi non lo rende la soluzione a tutti i problemi.

Christian Olde Wolbers e Raymond Herrera?

Nonostante Christian non fosse presente sul primo album li consideriamo un’unica entità. Herrera è tanto mostruoso quanto sottovalutato. Non è solo velocità, ma è anche dinamica e inventiva. La batteria in Obsolete è impressionante in quanto è potenza, controllo e fantasia; nemmeno Gene Hoglan è riuscito a rimpiazzarlo veramente. L’apporto di Wolbers è stato sottovalutato ancora maggiormente in quanto è offuscato dal sopracitato batterista e dai riff di Cazares, ma siamo al cospetto di un signor bassista. Ascoltate Freedom or Fire e poi ditemi la vostra.
Tuttavia no. Christian a ruota libera ha portato Archetype e Transgression, lo stesso dicasi per Herrera. Sicuramente non bastano.

Rhys Fulber?

La mia prima idea per questo articolo aveva il titolo “E se i Fear Factory fossero Rhys Fulber?”, poi ho fatto un po’ di ripasso e mi sono già risposto di no. Ritengo che senza di lui Demanufacture e Obsolete non sarebbero mai esistiti e che sia il vero artefice del connubio tra metal e industrial/elettronica, ma seppur rimanendo una una componente imprescindibile, la sua presenza su tanti dischi irrilevanti non lo rende la panacea per tutti i mali.

Burton C. Bell e Dino Cazares assieme?

Evidentemente non bastano. Vedi i punti su Cazares e Bell.

Christian Olde Wolbers, Raymond Herrera e Burton C. Bell?

Vedi il punto su Wolbers e Herrera in quanto sono sempre stati assieme a Bell.

Burton C. Bell, Dino Cazares e Rhys Fulber?

A esclusione di Archetype in cui non compare Cazares, vale lo stesso discorso fatto per Fulber. Sono sicuramente tre elementi fondamentali, ma hanno fatto anche tanti passi falsi, o comunque hanno smesso di inventare.

Burton C. Bell, Dino Cazares, Christian Olde Wolbers, Raymond Herrera e Rhys Fulber?

Demanufacture, Obsolete, Digimortal. Questo combo ha partorito solo tre album. Due capolavori e un mezzo disco. Tenderei a non essere così tranchant su Digimortal in quanto è evidente che si tratti di un lavoro figlio delle loro tensioni, poi esplose pochissimo tempo dopo, e della voglia di cavalcare un trend ormai morente. Per il resto ci siamo.

Demanufacture ha inventato un nuovo modo di vedere il metal. Ha creato il connubio tra uomo e macchina e lo ha portato a livelli già altissimi. Il quasi punk sintetico di New Breed, la violenza delle prime quattro canzoni e di H-K, la psichedelia dei due pezzi conclusivi e della cover di Dog Day Sunrise. Se avessero eliminato Body Hammer e Flashpoint avrebbe comunque avuto una durata onesta e forse ne avrebbe guadagnato. Ma mettersi a criticare Demanufacture mi sembra effettivamente fuori luogo.

Obsolete è invece spesso snobbato, ma per quanto mi riguarda si tratta di uno dei migliori dischi della storia, sicuramente in ambito metal. I primi quattro pezzi ancora una volta sono devastanti: le voci melodiche/filtrate migliorano ulteriormente in qualità, l’uso dell’elettronica è ancora più conturbante e l’organicità è palpabile. Il suo essere un concept album è la ciliegina sulla torta in quanto anche i pezzi meno incisivi risultano necessari e mai ridondanti. Nonostante la sua claustrofobia, Descent riesce a far prendere il fiato dopo il devasto iniziale e apre la strada a un trittico violentissimo con Freedom of Fire come momento saliente. Resurrection è un mid-tempo in cui furia e melodia convivono alla perfezione, mentre Timelessness è semplicemente una delle conclusioni più apatiche, tristi, rassegnate e perfette di sempre. CA-PO-LA-VO-RO.

Se i cinque si riunissero domani riuscirebbero ad avere lo stesso impatto?

No, non credo. È evidente che la vena creativa, o quantomeno quella innovativa per l’universo Fear Factory, si sia esaurita. Gli ultimi tre dischi lo dimostrano, il progetto Ascension of the Watchers di Bell lo dimostra, la scomparsa dalla scena di Herrera lo dimostra, il vagare per progetti senza né arte né parte di Wolbers lo dimostra, lo stagnante universo elettronico di Fulber lo dimostra.

Ma si riuniranno mai?

Io credo di sì. Cazares proverà a fare il giochino da solo, magari avrà anche il coraggio di produrre un album senza Bell, fallirà miseramente, i soldi finiranno e ci sarà la tanto agognata reunion. Avranno ormai sessant’anni e nulla più da dire in questo genere. Ma saranno in buona compagnia.

Luca Di Maio

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