Qualche giorno fa ho iniziato a guardare Electric Dreams, una serie Amazon Original ispirata ad alcuni racconti di Philip K. Dick. È un’antologia di episodi auto-conclusivi (cosa che ho scoperto piacermi in questo periodo). Uno di questi mi ha colpito su tutti: Real Life. Tratta uno dei temi più interessanti della narrativa di Dick: la confusione tra realtà e illusione, tra le varie percezioni di sé e del mondo. Tutto bello e valido, ma si conclude con un gigantesco spiegone, netto e trasparente. Non viene lasciato alcun “dubbio” nella testa dello spettatore e spesso quando questo accade, in film e serie moderni, mi domando se non ci stiano prendendo per un branco di dementi da coccolare.
Questa riflessione mi ha portato a ricordare a quali pellicole famose degli ultimi trent’anni abbiano un finale aperto, con un “dubbio”, e come questo abbia influenzato la qualità del finale. Mi sono venuti in mente casi in cui il dubbio rimane aperto ed è bello così: Inception (2010), Il Tredicesimo Piano (1999) o addirittura Atto di Forza (1990). Altre volte lo spiegone c’è, ma è quasi organico alla trama: Matrix (1999), Dark City (1998) o Vanilla Sky (2001).
Questo mi ha portato a due conclusioni:
1. A fine degli anni Novanta c’era una gran crisi riguardo ai confini tra realtà e illusione, e il cinema a tema andava alla grande;
2. risolvere il dubbio può anche avere senso se questo è organico allo “scopo” del film.
A me sono venuti in mente solo alcuni titoli, ma sono sicuro che a voi che ci leggete ne verranno in mente altri. Vi invito a segnalarceli, così per gioco.
Questo viaggio mentale, comunque, mi ha portato ad esumare dalla mente un gioiello del 1999, ovvero il soggetto dell’articolo di oggi: eXistenZ. Quindicesima pellicola di Cronenberg, eXistenZ vanta tra i protagonisti Jude Law e Jennifer Jason Leigh, oltre a una chicca in paio di scene “alla Willem Dafoe” con Willem Dafoe.
Il film inizia in una sala sperduta da qualche parte nelle campagne. Un gruppo di gamer è stato selezionato per provare la versione beta di un gioco ideato dalla designer Allegra Gheller (Jennifer Jason Leight): eXistenZ appunto. In questa ambientazione i videogiochi permettono una realtà virtuale immersiva totale (un po’ come in Matrix). Le consolle di gioco sono organiche, esseri viventi collegati attraverso alcuni tentacoli alla “porta” di ogni persona, un buco alla base della schiena che consente una connessione alla spina dorsale. Questo tocco di stile è puro Cronenberg, e non è che il primo di questo titolo.
Già a pochi minuti dall’inizio si avrà il primo colpo di scena… il primo di diversi che si susseguiranno durante tutta la visione. Ovviamente ve li risparmio, così ve li possiate godere se siete “vergini” del film. A ogni modo, vi consiglio di affrontare la visione a stomaco vuoto.
L’idea che i videogiochi avrebbero sostituito la realtà vissuta era un tema abbastanza forte verso metà e fine degli anni Novanta. Cronenberg lo propone con una certa eleganza… quando non è preso dal suo splatter-porn. Da allora a oggi, però, questi timori non si davvero realizzati fino in fondo se non per una fetta specifica di popolazione: i giocatori di MMORPG (massive multiplayer roleplaying games) e in generale la maggior parte dei giochi multiplayer online. Questo fenomeno ha rapito intere generazioni da una grossa fetta di vita sociale, anche se è rimasto ben circostanziato.
Con la gente chiusa in casa per la pandemia, ovviamente, questo non è più vero. Solo in Italia si è vista una crescita del 70% di giocatori online. Non posso fare della morale, io stesso ho acceso la Playstation 4 diverse volte in questo periodo per mettermi avanti con alcuni videogiochi (sono quasi alla fine dell’ultimo God Of War). I giochi multiplayer online però mi han sempre spaventato: temo che mi possano trascinare in un tunnel senza alcuna luce alla fine.
Se pensate di essere immuni da questo tipo di “droga” solo perché non siete dei video-giocatori, però, state facendo male i conti. Cosa accade quando una serie tv dei giorni nostri ci prende? Ci abbuffiamo di episodi, uno dopo l’altro. Questo fenomeno è tanto prepotente che è nato un termine slang per definirlo: binging o binge-watching.
Ma torniamo di nuovo su eXistenZ: il film è lungo un’ora e 37 minuti. Stiamo parlando della lunghezza di due episodi in una serie tv odierna. Per come è stato scritto, prodotto e sviluppato potrebbe inserirsi in una serie antologica come Black Mirror o Electric Dreams senza alcun problema (anzi, ne aumenterebbe la qualità). Altri film degli anni Novanta potrebbero essere ridotti tranquillamente a un episodio, forse due, di una serie antologica: mi viene in mente anche solo Atto di Forza (1990). L’ho visto di recente ed è invecchiato benissimo: in un’ora e 47 minuti non c’è un solo fotogramma buttato a caso, è pieno di trama, dialogo, azione, plot twist. Stessa cosa si può dire per eXistenZ.
Le serie hanno stagioni da pochi (8-10) a troppi (20 circa) episodi, ognuno di 45-60 minuti. Se, per esempio, uno volesse guardare da zero La Casa Di Carta, dovrebbe impegnarsi in una maratona di quasi trenta ore. TRENTA ORE. Game of Thrones? 3701 minuti, quasi 62 ore davanti allo schermo. Ho citato i primi esempi che mi vengono in mente, e non son i casi “peggiori”.
Ora, non è che questo sia il male assoluto. Per molte serie vale la pena dedicare queste decine di ore (anche se magari potemmo dosarle), e in molti casi sono meglio spese che 120 minuti di un film brutto. In tanti altri casi NO: spesso il brodo viene allungato in generale, o si assiste ad intere sequele di episodi che sono un puro NIENTE CON LA NOIA INTORNO (mi vengono in mente le ultime stagioni di Game of Thrones). Si potrebbero tranquillamente condensare intere stagioni in un solo episodio, tagliare un sacco di roba che viene ricamata intorno. Perché devi farmi perdere 30, 60 o più ore della mia vita per raccontarmi una storia che potrebbe richiedere un decimo del tempo? Film come eXistenZ, o Atto di Forza, o uno qualsiasi degli altri citati prima lo dimostrano. In ognuno ci sono idee da cui una produzione di serie sarebbe in grado di tirare fuori intere stagioni, ficcandoci però dentro un mucchio di aria fritta.
“Perché lo facciano” è una domanda retorica. Allungano il brodo per farci stare incollati agli abbonamenti, farci iniettare la nostra dose quotidiana di schermo al LED. È comunque una nostra scelta: stare collegati o meno a questo mondo virtuale. Ma se siamo consapevoli di questo, possiamo sempre scegliere diversamente, e anche di “dosare” questa abitudine.
Da un po’ di tempo valuto se avventurarmi in una serie solo se sono sicuro di averne il tempo. Non voglio essere il messia di nessuno: ho fatto delle maratone disumane come tutti. Inoltre, per leggere questo articolo, vi ho tenuti attaccati alla “dimensione di irrealtà” che è internet fino a qui. Ora potete tornare al mondo reale.
Andrea Montefiori