Dopo il debutto della scorsa settimana, segue le nuova raccolta di raccomandazioni per cercare di colmare questo vuoto lasciato dall’assenza dei concerti. Anche questa settimana abbiamo spaziato ampiamente tra i decenni e i generi. Se volete vedere le pubblicazioni dei live in tempo reale vi consigliamo di seguire la nostra pagina Facebook.
Depeche Mode
Dave Gahan e soci sono un gruppo live strepitoso. Lo erano negli anni ’80 e lo so anche oggi. Li ho visti durante il loro ultimo tour svariati anni dopo la volta precedente e se possibile sono anche più devastanti. In curiosa e totale contrapposizione con la loro tragica sterilità in studio che li vede ripetere lo stesso disco da circa vent’anni. Al netto di qualche singolo bellissimo.
Ma parliamo di questo concerto. 1998, il tour relativo al loro primo “Best of”, e wow. In 45 minuti troviamo condensate otto perle presentate in uno stato di forma rappresentativo del loro ultimo capolavoro “Ultra”, uscito solo l’anno precedente. Si tratta probabilmente del punto massimo di forma mai raggiunto dal gruppo.
“Never Let Me Down Again” è emblematica: durante l’intermezzo elettronico Dave Gahan è indemoniato, prende letteralmente in mano una telecamera e riprende il pubblico mentre muove le braccia a onda. Una scena che riesce a farmi venire la pelle d’oca anche in video. Come vorrei essere lì.
Se Dave è quasi identico anche oggi, Martin Gore invece non è invecchiato benissimo, ma qui è al massimo della forma e decisamente più magnetico di come lo ricordo durante gli ultimi tour. Vocalmente strepitoso e su “Home” dà tutto come sempre.
Basta. Ora guardatelo. Emozionatevi. Ballate. Saltate. Fate qualcosa cazzo!
(Luca Di Maio)
Led Zeppelin
1969, era da poco uscito il disco eponimo, pochissimi dei presenti realizzavano di trovarsi al cospetto di un gruppo che farà la storia. I Led Zeppelin degli esordi erano quanto di più devastante si possa ricordare, e questi 31 minuti di un concerto per la TV Danese riescono a dimostrarlo senza alcun dubbio.
Bastano 4 canzoni. A parte i due minuti di “Communication Breakdown”, le altre tre si dividono quasi equamente il tempo rimasto con delle prestazioni spaventose. Dimenticate la fiacca di “The Sonng Remains The Same”, qua non si fanno prigionieri.
In questo set super intimo quello che colpisce di più (nel vero senso della parola) è Bonham. Sono certo di sentire il suono della batteria sia dai suoi microfoni, che da quelli ambientali. Sbatte le bacchette come se dovesse spaccarla. A ogni colpo. Questo è lui, ed è evidentissimo il motivo per cui fosse insostituibile dopo la sua morte.
Gli altri tre ragazzi sono belli (Robert Plant il Dio greco), impossibili (JPJ e Jimmy Page) e in forma smagliante. Il bianco e nero, retrò anche per il 1969, gli dona in modo particolare riuscendo a far sembrare questa esibizione ancora più fuori dal tempo.
“Dazed and Confused” e soprattutto “Babe I’m Gonna Leave You” risuonano in testa per ore, senza sosta, nella loro magnificenza.
Buona visione.
(Luca Di Maio)
Skunk Anansie
Il primo live acustico della band.
Non c’è nulla che risulti fuori posto. Un set acustico all’insegna della completa armonia e coerenza. L’atmosfera lievemente dark glam, suoni perfetti così come la voce di Skin. Si può decidere se ascoltare solamente o godersi anche la scenografia, la cura dei dettagli, nei look, del palco e della presenza scenica del gruppo inglese.
Su tutte segnalo la poetica cover di Paul Weller “You do something to me” che sfiora le corde di quel qualcosa, quanto la struggente “I hope you get to meet your hero” che conferma Skin come una delle voci da brividi lungo la schiena.
Eleganza e malinconia, rock e armonia.
(Sara Capoferri)