In occasione del prevedibilissimo prolungamento dell’isolamento, noi di MangiaCassette abbiamo pensato a voi. A voi che come noi siete in profonda astinenza da concerti. A voi che come noi non vedete l’ora di ritornare a saltare, ballare, pogare, fare il wall of death o battere le mani di fronte ai vostri artisti preferiti.
A partire dal 13 Aprile sulla nostra pagina Facebook il programma è questo: Lunedì, Mercoledì e Venerdì alle 20.00 condivideremo un concerto completo da YouTube di un artista scelto da noi. Saranno classici degli anni settanta, sconosciuti degli anni ottanta e moderni gruppi di nicchia. Ce ne sarà per tutti. Anche parlando di generi avremo rock, pop, elettronica, metal, progressive, jazz; cercheremo di accontentare tutti gli amanti della buona musica. Ogni domenica invece pubblicheremo sul sito i tre video della settimana per tutti quelli che non usano Facebook. Questo è appunto il primo capitolo di una lunga serie.
Purtroppo siamo consapevoli che ci vorranno svariati mesi prima di tornare sotto a un palco, quindi mettiamoci comodi sul divano e godiamoci queste meraviglie.
The Smiths
Il primo concerto che proponiamo ci trasporta al 1984 durante il primo tour degli Smiths. Marr, Morrissey e soci avevano appena regalato al mondo il loro disco di debutto e qui li vediamo in una forma incredibile. Morrissey è letteralmente indemoniato; la sua dissonanza vocale e scenica riassume tutto il senso del gruppo. Assieme alla chitarra di Johnny Marr. Il fatto che suonino due volte “Hand in Glove” e “This Charming Man” per mancanza di altri pezzi in repertorio riesce a rendere tutto ancora più magico.
Perchè cominciare con gli Smiths? Intanto perchè o li ami o li odi, difficilmente esistono vie di mezzo (e le vie di mezzo non ci piacciono). E poi perché quelli che li amano vanno dai ragazzini depressi che ascoltano solo rock inglese, fino ai metallari più estremi. In un certo senso sono un po’ una via di mezzo, e ci piacciono anche per questo (ops, ci siamo forse contraddetti? Morrissey sei tu?).
Black Sabbath
Il secondo capitolo di “Concerti in quarantena” ci porta al 1970 di fronte a Ozzy, Toni, Geezer e Bill; quattro sbarbatelli di Birmingham che avevano da poco inventato l’heavy metal.
Quando un paio di anni fa vidi per la prima volta questo concerto rimasi folgorato. Non tanto dalla prestazione devastante dei Sabbath, quanto dalla realizzazione che questa versione di “Paranoid” fu la mia prima esperienza di metal in assoluto.
Nella prima metà degli anni novanta, avrò avuto circa dodici anni, trovai in casa un CD da edicola di mio padre intitolato “I miti del rock Live”. All’epoca ascoltavo i Queen, Bryan Adams e poco altro di decente. Quel disco conteneva Black Sabbath, Jethro Tull, Led Zeppelin, Eric Clapton e tanti altri, ma il pezzo che più mi colpì fu quello più incazzato di tutti, “Paranoid” di Black Sabbath.
“Di” Black Sabbath fino a quando un amico mi fece realizzare l’improbabilità dell’esistenza di una persona facente “Nero” di nome e “Sabba” di cognome. Quindi i Black Sabbath. Quel riff devastante, quel cantante che sembrava dare tutto, quella violenza calcolata che in meno di tre minuti aveva detto tutto quello che c’era da dire sulla musica pesante.
L’avrò ascoltata un miliardo di volte a volumi improbabili con cuffie al limite del suicidio, così al primo accenno guardando questo meraviglioso documento l’ho riconosciuta subito. La qualità video non è eccelsa, ma si fa guardare. La prestazione è invece da incorniciare: moltissimi classici dei primi due dischi, Iommi sontuoso, Butler bello come il sole e Ozzy con una gran voce.
Archive
Con l’arrivo di questa astinenza forzata dai concerti hanno iniziato a fare capolino degli inevitabili rimpianti. Il mio più grande del 2019 è forse relativo agli Archive.
Il gruppo inglese ha suonato a Bologna lo scorso Dicembre e per una qualche ragione sconosciuta anche a me stesso, decisi di non andare. Fino a qualche settimana fa ero stato fortunato perché non mi ero reso conto di cosa mi fossi perso, poi mi sono imbattuto in “Live in Athens” e tutto è cambiato, soprattutto il mio umore.
Gli Archive sono la definizione stessa di indefinibile: post rock, elettronica, trip hop, rock progressivo, psichedelia, rock inglese, quattro cantanti che si alternano, undici membri e una classe da paura.
In “Live in Athens” cominciano con i 18 minuti di “Lights” e chiudono con i 16 minuti di “Again”, con tante altre piccole gemme a costituire il cuore del concerto. Onestamente i due pezzi sopracitati varrebbero già qualsiasi prezzo gli venisse in mente di chiedere per il biglietto, ma tutto lo spettacolo accresce il valore in modo esponenziale. Sentire pezzi atmosferici tipicamente post rock, alternati a momenti elettronici tip hop e ad altri quasi pinkfloydiani non capita tutti i giorni. Sembrano quasi una delle nostre Cassette del Mese.
“Again” con Dave Pen alla voce è qualcosa di onirico, straziante, angosciante, ma anche straripante. Saremo forse al cospetto di uno dei più grandi pezzi degli anni duemila? Probabilmente sì.
Soprattutto se non li conoscete fate così: cuffie in testa, seduti comodi sul divano e schiacciate “play”. Buon godimento.