Dopo aver parlato del Proto Post-Rock, arriviamo al cuore della questione. I primi anni Novanta, Simon Reynolds, Louisville, Chicago, gli strumenti rock per cose non rock, gli anti-divi, i gruppi che si sciolgono appena finito di registrare un disco seminale, e tutto il resto. E partiamo subito dividendo il mondo in due: UK e USA.

Nel Regno Unito gli anelli di congiunzione con il passato sono Talk Talk e Bark Psychosis, che ironicamente non avranno tantissimo in comune con i loro conterranei contemporanei, ma influenzeranno enormemente il mondo intero con un lustro abbondante di ritardo. In Nord America l’anello di congiunzione sono gli Slint e i Gastr Del Sol, i quali saranno invece fondamentali nello scolpire il Post-Rock d’oltreoceano assieme ai Rodan e alla loro progenie.

Il Post-Rock è il genere meno organico della storia della musica e le definizioni di Simon Reynolds aiutano solo fino a un certo punto. Dopotutto lui esclude tutta la scena americana e i Talk Talk rendendosi la vita molto più facile. Consideriamo però che al tempo ne aveva la facoltà, avendo coniato il termine per definire un movimento britannico relativamente ristretto, debitore a A.R. Kane, My Bloody Valentine e alla scena elettronica. Il termine ha poi preso vita propria ed è stato utilizzato per etichettare anche una serie di produzioni “diverse” e indefinibili che avevano ben poco a che spartire con gli artisti che lo hanno originato.

Il termine Post-Rock assume quindi maggiormente un carattere filosofico che riporta a un volere trascendere il rock. In alcuni casi è stato fatto spogliando il rock di tutto quello che lo rendeva tale, in altri casi è stato ottenuto estremizzandolo in maniere assolutamente controintuitive (rallentandolo, rimuovendo la distorsione, fondendolo con il minimalismo), in altri ancora utilizzando un’estetica aliena rispetto all’immaginario rock più ortodosso.

Con questo non voglio dire che la componente musicale sia di contorno, anzi la trovo centralissima, ma allo stesso tempo è quasi individuale. Questo genere non-genere, questo movimento non-movimento, era composto da tante avanguardie musicali scollegate, unite da un fil rouge filosofico. Una bella definizione che ho letto è “il Post-Rock è di fatto il trattino che separa le due parole”. Rappresenta quello spazio tra la fine del rock e quello che potrebbe essere fino al non essere più rock.

La playlist in calce ripercorre questi pochi anni durante i quali la voglia di sperimentare ha raggiunto picchi che trovano corrispondenza solo con la fine degli anni Sessanta. La sequenza è quasi cronologica e alterna gruppi Britannici e gruppi d’oltreoceano. Ora cominciamo più vicino a casa nostra.

Post-Rock Britannico

Talk Talk

Ho già parlato dei Talk Talk nella prima parte relativa alle origini, ma con l’arrivo degli anni Novanta c’è ancora tanto da dire. Laughing Stock è il culmine del loro esercizio volto a spogliare il rock dal rock stesso. Chi lo definisce un disco Progressive Pop per quanto mi riguarda sbaglia il tiro; c’è chiaramente progressione, ma è una progressione per difetto invece che per eccesso. E con un’accezione assolutamente positiva. Nel rimuovere livelli strumentali, si aggiungono livelli emotivi e concettuali esemplificati tra gli altri da un pezzo come After the Flood.

Dopo Laughing Stock il gruppo si scioglie, un po’ come se avessero esaurito tutta la musica del mondo. Lee Harris e Paul Webb continuano come O.Rang spostandosi sull’avanguardia pura, mentre Mark Hollis ritorna ben sette anni più tardi con il suo unico disco solista. A metà tra l’essere un’estensione di Laughing Stock e un esercizio cantautorale sperimentale.

Bark Psychosis

I Bark Psychosis hanno seguito un percorso molto simile a quello dei Talk Talk pur avendo punti di partenza diametralmente opposti. Se i Talk Talk sono andati per riduzione rimuovendo glitter, plastica e consapevolezza, i Bark Psychosis hanno fatto lo stesso partendo invece da qualcosa di sporco e ruvido, figlio della noise, dei Sonic Youth e dei Big Black. Il processo di riduzione all’essenziale è stato lo stesso e li ha portati su coordinate molto simili, tanto che nel 2004, sul primo album dei Bark Psychosis dopo dieci anni di silenzio, la batteria la suona proprio Lee Harris.

La loro produzione di fine anni Ottanta è presente nella playlist Proto Post-Rock, ma senza una menzione in particolare in quanto non si può dire che quei singoli abbiano influenzato nessun’altro se non loro stessi. Loro stessi sono poi Graham Sutton. Il quale lentamente, ma inesorabilmente, ha portato avanti questo processo di dilatazione del suono e dei momenti passando per i 21 minuti di Scum, e culminando nel seminale Hex. Non è un caso se Simon Reynolds ha usato per la prima volta il termine Post-Rock nella sua recensione di quest’album.

Stiamo davvero parlando del trattino tra Post e Rock, di quello spazio sospeso tra il rock e la nebbia. Le chitarre sono ridotte all’osso, ma essenziali nel creare un muro di rumore silenzioso, arricchito da synth, suoni campionati e un cantato emotivamente minimalista. Disco enorme. Poi il gruppo sostanzialmente si scioglie per l’enorme carico dovuto alla produzione di Hex e alla sostanziale indifferenza nei suoi riguardi. Torneranno una decade più tardi, senza alcuna vera rivoluzione tra le mani.

Seefeel, Pram, Insides, Disco Inferno, Moonshake, Stereolab

Ognuno di questi gruppi meriterebbe un capitolo a parte, e forse metterli tutti assieme non è nemmeno giusto. Tuttavia, rappresentano il cuore del Post-Rock inglese Reynoldsiano. I Bark Psychosis sono stati quasi un incidente di percorso in quanto li trovo appunto più vicini agli ultimi Talk Talk oltre che precursori di tante soluzioni poi estremizzate dalla seconda ondata. Questi sei gruppi sono invece quello che differenzia l’idea di Reynolds da tutto il resto.

Seefeel, Pram e Insides si faticherebbe anche a chiamarli rock. Sono dub, sono pop, sono psichedelia, sono jazz, sono Proto Trip-Hop se vogliamo. Ma alla fine sono anche quello che poteva diventare un ipotetico rock dopo aver deciso che le chitarre distorte avevano dato tutto quello che c’era da dare. Un paragone contemporaneo che non mi tolgo dalla testa è IRA di Iosonouncane: un disco inserito nell’elettronica sperimentale, ma che porta tutte le caratteristiche di questo Post-Rock.

C’è quasi da chiedersi come abbiano fatto Seefeel e Pram a non diventare enormi come i Massive Attack. La risposta è nel genere, è il motivo per cui loro sono Post-Rock e gli altri no. Le caratteristiche per sfondare le potevano anche avere tutte, ma il loro non scendere a nessun genere di compromesso li ha relegati a quell’ossimorante status di leggende dimenticate.

Moonshake e Stereolab invece portano ancora forti segni Indie Rock, ma tutti invertiti, storti, stravolti da molteplici influenze aliene a quello che era il rock del periodo. Come i Bark Psychosis sono partiti dai Sonic Youth, ma inserendo componenti tribal, dub e krautrock. I Disco Inferno sono invece il ponte tra l’area più eterea e trippy, e quella più indie. Hanno messo a fattor comune tutte queste influenze partorendo un suono ancora più innovativo e alieno.

Post-Rock americano

Slint

Nell’anno del trentennale di Spiderland non credo abbia senso aggiungere altro rumore a tutte le cose bellissime che sono state scritte per celebrare questo capolavoro. Lo stesso anno di Laughing Stock e ben tre anni prima di Hex, anche l’America ha il suo primo disco Post-Rock. Il termine non verrà coniato per qualche anno ancora e gli Slint continueranno a rimanere nell’universo Post Hardcore assieme a tanti dei gruppi di cui parlerò dopo. Dopo aver abbandonato Steve Albini il gruppo trova il proprio universo e la propria totale indipendenza. Il risultato è un lavoro di spoken word, distorsioni, silenzi, rumori, riff, piatti e drammi emotivi, che si trascinano lentamente e inesorabilmente per cercare di riempire un vuoto che non si riempie mai.

Washer è la più canzone del lotto, ma anche la meno canzone a seconda di quale angolazione si sceglie. Sicuramente è il perfetto esempio di un vuoto che non si riempie mai, ma che proviamo stancamente a riempire con tutte le nostre forze senza troppa convinzione.

Listen to me / Don’t let go / Don’t let this desperate moonlight leave me with your empty pillow / Promise me / the sun will rise again / I too am tired now / Embracing thoughts of tonight’s dreamless sleep / My head is empty / My toes are warm / I am safe from harm

Gli Slint non sopravviveranno a Spiderland, si scioglieranno prima dell’uscita. Brian McMahan formerà poco dopo i The For Carnation riprendendo da dove aveva lasciato, ma senza gli enormi conflitti creativi ed esistenziali degli Slint. Sfornerà dei buoni dischi, ma nulla di simile alla magia di Spiderland. David Pajo lo ritroveremo invece più avanti.

Rodan, Rachel’s, June of 44, Shipping News

I Rodan di Jeff Mueller e Jason Noble, sempre da Louisville, Kentucky, sono responsabili del suono americano quasi quanto gli Slint. Anche loro partono dal mondo Post-Hardcore, ma già sul secondo album Rusty, se ne erano allontanati notevolmente seguendo il solito processo di rarefazione, ma questa volta integrando anche elementi e sonorità più europee.

Dopo lo scioglimento Noble forma i Rachel’s e Mueller i June of 44, per poi riunirsi poco dopo negli Shipping News. I Rachel’s sembrano apparentemente fuori posto con i loro archi, il loro piano e quella che appare più musica da camera che qualcosa di tangente al rock, ma finiranno per essere una sorta di Proto Post-Post-Rock. Dopotutto i Godspeed You! Black Emperor non possono non saperli a memoria.

I June of 44 continueranno sulla scia dei Rodan attirando i soliti paragoni con gli Slint e di conseguenza con i The For Carnation. Vocalmente rimangono più Post-Hardcore rispetto agli altri compaesani, ma musicalmente col tempo si sposteranno anche su territori vagamente jazzati che ritroveremo nei Tortoise. Gli Shipping News invece linearizzano un po’ l’esperienza June of 44 rimanendo più vicini al mondo indie senza mai affrancarsi completamente dalle eccentricità Post-Rock.

Gastr del Sol, Tortoise, The Sea and Cake

Da Louisville ci spostiamo a Chicago per l’eredità dei Bastro e in particolare di John McEntire. Le tre esperienze non potrebbero essere più diverse. Il primo album dei Gastr del Sol The Serpentine Similar è una sorta di Spiderland acustico e jazzato, poi con l’ingresso di Jim O’Rourke si sposteranno sulla sperimentazione più spinta. I The Sea and Cake avrei anche potuto non menzionarli in quanto la loro collocazione nel Post-Rock è quantomeno dibattuta, ma sicuramente si tratta di un gruppo indie molto sperimentale.

I Tortoise invece spostano la classifica. Nonostante la sezione ritmica fosse quella dei Bastro, l’eponimo disco di debutto non potrebbe esserne più distante. Reggae, dub, jazz, krautrock tutto in un calderone, ma senza sbilanciarsi in nessuna direzione particolare. Il feeling è quello di un vero gruppo sperimentale più vicino ai collettivi teutonici degli anni 60/70. E con Millions Now Living Will Never Die e l’ingresso di David Pajo il livello si alza ulteriormente. I 20 minuti di Djed sono un vero e proprio manifesto Post-Rock che si erge ben al di sopra di tutta la progenie del Post-Hardcore sotto il profilo della sperimentazione pura.

Altri

La scena americana è ricchissima di gruppi completamente Post-Rock e di altri anche solo tangenti al movimento. Impossibile non menzionare la furia controllata dei Don Caballero, i Labradford e le loro sperimentazioni con l’ambient che tanto piaceranno ai Mogwai, il supergruppo Brise-Glace e anche i Low, filosoficamente molto vicini a tutti gli altri.

Come per le altre due parti, nella playlist trovate ben più gruppi rispetto a quelli che sono riuscito a nominare, e ne mancano forse altrettanti. Però il cuore di questa grande magia durata pochi anni c’è tutto.

E poi?

E poi alcuni di questi gruppi si sono sciolti subito dopo aver registrato il loro capolavoro (Slint, Bark Psychosis e anche Talk Talk se vogliamo), altri hanno resistito fino a cavallo del nuovo millennio, solo pochissimi hanno proseguito fino ai giorni nostri. Nessuno ha prodotto dischi imprescindibili dopo la fine degli anni Novanta.

Immagino sia difficile continuare per anni a suonare la fine del rock quando ti accorgi che il rock non è mai realmente finito. Quando buona parte della fine del rock si è trasformata nel rock stesso. Quando la tua filosofia prevedeva una sorta di autodistruzione già a monte; perché quel trattino tra Post e Rock non poteva durare in eterno e non poteva nemmeno deflagrare in un eterno climax. No, il trattino si è esaurito, spento, consumato. In parte mutato in altro che ha assunto molteplici nomi, in parte sostituito da altro che ha portato climax e deflagrazioni. Ma di questo parliamo nella terza parte.

Luca Di Maio

Parte 1 – Il Proto Post-Rock dai Velvet Underground a Talk Talk e Slint
Parte 2 – La prima ondata di inizio anni ’90
Parte 3 – La seconda ondata dalla fine degli anni ’90 a oggi

Breve bibliografia relativa a tutte e tre le parti:

Martin, Bill, Avant Rock: Experimental Music from the Beatles to Bjork
Leech, Jeanette, Fearless: The Making Of Post-Rock
Chuter, Jack, Storm Static Sleep: A Pathway Through Post-Rock
Reynolds, Simon, Blissed Out: Raptures of Rock

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