Grazie alla sua seconda stagione, la tedeschissima Dark si posizione temporaneamente tra le migliori serie di fantascienza degli ultimi vent’anni e potrebbe addirittura essere la migliore in assoluto sui viaggi nel tempo. E ne sono incredibilmente sorpreso.

Ne sono sorpreso perché avevo trovato la prima stagione molto interessante, ma non strepitosa: c’erano tante belle idee, ma sembrava un po’ un collage dei vari classici sui viaggi nel tempo, ma con tanti potenziali buchi e con una limitata profondità. Invece con il secondo capitolo hanno semplicemente sbancato. Ma facciamo un passo indietro.

Per chi non l’ha vista si tratta di una serie tedesca prodotta da Netflix che comincia con un suicidio, un bambino scomparso, una centrale nucleare, tradimenti tra adulti e amori adolescenziali; sembra quasi un dramma poliziesco standard. Poi presto si intravedono elementi che fanno intuire la presenza di questioni temporali, prestissimo esplicitate in una storia che si svilupperà su tre epoche distanziate 33 anni l’una dall’altra: 2019, 1986 e 1953. Seguirà principalmente quattro famiglie del piccolo paesino inventato chiamato Winden e il mistero temporale che collega tutti gli eventi.

Alla fine della prima stagione rimaniamo con una tale confusione in testa da costringermi a rivederla tutta prima dell’inizio della seconda in quanto dopo ben 18 mesi era impossibile ricordare tutto. Le parentele si intrecciano, i tradimenti si moltiplicano e le versioni passate, presenti e future dei vari personaggi prendono continuamente direzioni inattese. Proseguirà sulla stessa linea, ma estremizzando il tutto oltre ogni più logica comprensione.

Continua a essere un collage dei vari classici sui viaggi nel tempo, dopotutto ritengo che ormai sia stato davvero inventato tutto su questo argomento, ma li mette assieme in modo magistrale. Bisogna spesso piegare la propria mente per accettare determinati colpi di scena, ma una volta fatto è evidente come abbia tutto perfettamente senso. Dopo Futurama è l’unica serie a inserire un “paradosso del nonno” (o “della nonna” in questo caso) in modo credibile. Vedremo come sarà gestito nella terza stagione, ma anche solo il fatto di averlo inserito denota grande coraggio e grande fiducia nei propri mezzi e nella propria storia.

L’elemento che colpisce di più è l’estrema coerenza di quello che vediamo. È evidente che non siamo di fronte a un Lost: i creatori di Dark sanno assolutamente dove vogliono andare a parare e hanno mappato tutto lo svolgimento con estrema precisione. Tantissimi punti introdotti nei primi episodi sono stati spiegati con coerenza e chiarezza negli ultimi. Il suicidio di Michael ottiene una spiegazione più che soddisfacente, così come tanti altri eventi che potevano sembrare dei clamorosi buchi nella narrazione.

Dopo la seconda visione della prima stagione ricordo di aver detto a mia moglie “bella, ma alla fine è puro intrattenimento, scritta bene, svolta bene, ma i personaggi sono piuttosto vuoti, servono principalmente alla trama, non viceversa”. Con la seconda stagione invece mi sono trovato a dover rivedere in modo importante questo punto di vista. Non stiamo guardando The Affair che è completamente al servizio dei personaggi, ma l’estremizzazione del concetto di viaggio del tempo è riuscito a portare Dark ad assolvere il sacro compito della vera fantascienza in modo egregio.

La vera fantascienza non è Star Wars. Star Wars è un fantasy travestito da fantascienza, è puro escapismo. La missione della fantascienza è invece quella di usare espedienti futuribili per analizzare le profondità dell’animo umano. Quello che credono di aver inventato con Black Mirror, ma che di fatto esiste da quasi duecento anni. Dark arriva forte su questo punto nel momento in cui inizia a mostrare con regolarità gli stessi personaggi nelle diverse fasi della loro vita, estremizzandosi con Jonas che confronta sé stesso 33 e 66 (?) anni più vecchio.

Questo è il cuore della serie. Evidenziato sempre da mia moglie con la domanda “cosa penserei di me stessa adolescente o di me stessa anziana?”. Ci penso anch’io e mi vedo. Sedicenne capellone, maglie dei gruppi metal anche in famiglia a Natale, idealista su tantissime cose, estremista su altre, che incontra sé stesso trentacinquenne borghese in giacca e cravatta diretto a un incontro di lavoro, con Tim Bowness in cuffia mentre legge l’ennesima biografia di Woody Allen. Probabilmente farebbe di tutto per non diventare così, arrivando all’inevitabile risultato di trovarsi esattamente nella situazione da lui tanto disprezzata.

Ovviamente in Dark nulla è così mondano e l’avventura di Jonas è estremamente drammatica, ma il concetto non cambia. È la sfida dell’uomo contro il destino, l’eterno dilemma sull’esistenza del libero arbitrio e la forza delle proprie convinzioni contro l’inevitabilità del fato. Tutti temi non nuovi, ma sviluppati con grande originalità. Dark aggiunge soprattutto la ricerca della motivazione dietro le nostre scelte mostrandone l’evoluzione in modo piuttosto crudo. Perché sono diventato un borghese in giacca e cravatta? Perché ascolto anche musica molto soft? Perché ho cambiato completamente orientamento politico? Il mio io sedicenne non potrebbe mai accettarlo, ma uno spettatore esterno esposto alla mia evoluzione probabilmente riuscirebbe a capirne le motivazioni anche meglio di me. Ed è questo che Dark prova a fare con discreto successo.

Non è tutto perfetto chiaramente. Rimane poco realistico che tutte queste coppie formatasi in età adolescenziale si ritrovino poi sposati da adulti, l’amore di Jonas per Marta è eccessivamente pesante e melodrammatico, e i pochi effetti speciali presenti risultano così economici da preferire l’utilizzo di un espediente diverso per rendere la stessa idea. In ogni caso nella valutazione della visione suggerisco di non farsi sviare dagli incomprensibili paragoni con Stranger Things o dal titolo piuttosto anonimo, non danno alcuna indicazione attendibile riguardo la qualità della serie.

E la qualità è alta. Quando compare il vecchio Ulrich nell’87 ero in piedi sul divano, alla mossa di Hannah nel finale ero davvero incuriosito, alla già citata rivelazione paradossale quasi sconvolto e in generale sono assolutamente stupito dalla solidità dell’intreccio temporale su Jonas/Mikkel/Michael.

L’inserimento degli universi paralleli (o linee temporali alternative, vedremo) era inevitabile per spingersi oltre, ma anche un rischio. L’augurio è che non vengano usati come un “esci gratis di prigione”, ma che abbiano un utilizzo finalizzato allo sviluppo dei personaggi e dell’intreccio che conosciamo. La terza stagione sarà l’ultima, con tutta probabilità uscirà nel giorno dell’apocalisse, il 27 Giugno 2020, e potrebbe rovinare tutto, oppure consacrare Dark come migliore serie di fantascienza dai tempi di Battlestar Galactica. Teniamo le dita incrociate.

Luca Di Maio

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