Deadwood ha avuto la sfortuna di essere stata concepita nel 2004, quando le serie tv non erano ancora un fenomeno di massa come sono da una decina di anni a questa parte, ed è un peccato. È un peccato perché pochissimi di voi sapranno di cosa sto parlando e si sono persi, forse per sempre, una delle migliori serie mai concepite.
Partiamo dalla fine. Il motivo per cui ne parlo è presto detto: a quasi 13 anni dalla sua brutale cancellazione Deadwood avrà finalmente una conclusione con un film in uscita tra pochissimo, il 31 Maggio 2019. Già, perché nei primi anni duemila le serie tv stavano come d’autunno sugli alberi le foglie; non c’era Netflix, non c’era un così massiccio impegno nelle produzioni e semplicemente non c’era ancora la cultura. Se non avevi ascolti e costavi troppo, i network ti cancellavano senza pietà. Certo succede anche adesso, ma in quegli anni era sempre una lotteria, anche per serie affermate. Un’altro grande lavoro quasi contemporaneo a Deadwood che meriterebbe ben altra fama è Rome, troncata violentemente dopo due stagioni magistrali. E pensate che dopo tre stagioni corse lo stesso rischio anche The Wire, quella che non esito a considerare il miglior prodotto tv di sempre. Era un brutto mondo, un po’ come quello di Deadwood.
Infatti parliamo di un western, dimenticate però Bud Spencer, John Wayne e Bonanza, sicuramente come “brutto mondo” ci avviciniamo di più a Sergio Leone, ma stilisticamente e tematicamente si tratta più di una sorta di precursore di Game of Thrones. Il piccolo accampamento di Deadwood, appena stabilito in territorio indiano, è teatro di complotti, omicidi, risse, amori e dolori. Quasi tutti i personaggi principali sono figure storiche realmente esistite e molti degli eventi descritti sono ricostruzioni di avvenimenti reali, come l’avventura a Deadwood di Wild Bill Hickok. Il tutto succede con un realismo disarmante da un punto di vista visivo, ma con una interessante dose di teatralità da un punto di vista recitativo. Non si tratta di una critica in quanto l’effetto palcoscenico risulta molto funzionale all’ambientazione e a far risplendere tutti i meravigliosi attori presenti.
Infatti uno dei punti di forza della serie sono proprio gli attori. A parte il seppur bravo Timothy Olyphant, abbiamo un cast composto quasi solo da caratteristi e si tratta di un raro piacere per occhi e orecchie. Ian McShane è un gigante. Ogni volta che il suo Al SWEDGIN! ehm, Swearengen calca la scena non si può non rimanere incantati. Ci sono decine di sue citazioni che si potrebbero ricordare continuamente, inoltre il suo uso creativo della parola “cocksucker” è assolutamente memorabile. McShane porta la serie sulle spalle, ma i vari Dayton Callie, W. Earl Brown, Powers Boothe, Garret Dillahunt, Brad Dourif, Robin Weigert, Paula Malcomson e tutti gli altri sono maestosi. Anche le comparse che interpretano le varie puttane sembrano delle veterane del palcoscenico.
Narrativamente abbiamo un “buono” (Il Seth Bullock di Timothy Olyphant) pieno di difetti, alcuni cattivi con un particolare senso dell’onore, altri semplicemente psicopatici e tante sfumature di grigio. Nel 2019 non suona particolarmente originale, ma per la tv dei primi anni duemila giusto The Wire faceva tutte queste cose meglio di Deadwood. L’intreccio è interessante e mai noioso, con un costante e coerente sviluppo psicologico dei personaggi; tutta la serie può essere interpretata come una sorta di studio sul comportamento dell’uomo in condizioni estreme e senza la presenza della legge. Cosa è portato a fare? Fin dove può arrivare il suo egoismo? Possiamo parlare realmente di “umanità” oppure è solo un qualcosa che ci raccontiamo?
Anche da un punto di vista tecnico e stilistico i valori di produzione sono piuttosto elevati. Esteticamente è tutto molto realistico; dopo essersi immersi in qualche episodio ci si può quasi sentire sporchi come loro. Le sceneggiature sono sempre ben scritte e portano un gran rispetto ai personaggi e alla loro psicologia; l’unica eccezione la trovo verso la fine con Bullock portato a ignorare un omicidio che non avrebbe dovuto ignorare. La regia è solida, in particolare gli episodi conclusivi delle prime due stagioni sono dei valzer narrativi, un piacere multisensoriale.
La terza stagione è stata un po’ più debole delle prime due, ma sempre di un buon livello, poi la serie fu cancellata senza pietà. Le motivazioni rimangono abbastanza oscure, si dice che il creatore David Milch avesse perso interesse per Deadwood e si volesse concentrare su altro. Per anni si è parlato di un film per chiudere i vari archi narrativi, ma non se n’è fatto nulla. Fino a oggi. L’estate scorsa è stato annunciato e il 31 Maggio 2019 uscirà. Vivo con le dita incrociate. Considerando il finale di Game of Thrones non sono sicuro di essere in grado di subirmi qualcosa di anche solo vagamente simile. Voi guardatela comunque, anche se è tronca, ne vale la pena.
Luca Di Maio