Ho voluto aspettare qualche settimana prima di parlarvi di Deadwood – Il Film in modo da farlo sedimentare un po’ evitando di scrivere sull’onda dell’entusiasmo, positivo o negativo che fosse. Tredici anni per avere una conclusione sono davvero tanti, per di più farlo in meno di due ore sembrava davvero una missione impossibile; sicuramente più impossibile di dare una conclusione dignitosa a Game Of Thrones. E invece David Milch è riuscito dove D&D hanno clamorosamente fallito.
Il film riparte oltre dieci anni dopo l’ultimo episodio della serie. La scusa per riunire tutti è l’ammissione del Sud Dakota come stato degli Stati Uniti. La maggior parte dei personaggi non si era mai mossa da Deadwood, altri come Alma, Jane e soprattutto George Hearst si erano trasferiti altrove. La storia parte con due eventi scatenanti che vanno a ricordare o ripetere quanto successo alla fine della terza stagione e che non si era mai potuto sviluppare (il gesto di Trixie e gli omicidi di Ellsworth/Utter), per poi dedicarsi appunto alla guerra tra Deadwood e il neo-senatore Geroge Hearst.
Quanto succede è rilevante e interessante, ma non mi sembra particolarmente produttivo raccontarvi la trama, il mio consiglio è semplicemente quello di guardarlo. Guardatelo perché le emozioni trasmesse non sono banali, soprattutto per tutti gli estimatori della serie. Un riassunto asettico degli eventi sarebbe inutile e forse anche dannoso.
Vi avevo già parlato di come Ian McShane rubi la scena grazie alla sua maestosa interpretazione di Al Swearengen per tutte le tre stagioni originali? Bene, nel film continua a farlo, ma in modo completamente diverso. Al è malato, il suo fegato lo sta abbandonando, non dovrebbe più bere, deve stare a letto, è visibilmente un uomo distrutto. La scena in cui Wu gli lascia delle medicine cinesi e lo esorta a prenderle è di una tenerezza inaspettata. Al continuerà a bere Whisky dalla bottiglia, e farà tutto quello che potrà per gestire la nuova crisi, ma non è più la stessa persona. McShane è impeccabile a interpretarlo sommessamente, talvolta accende gli occhi del vecchio Al, ma generalmente ce lo fa percepire come un uomo alla fine dei suoi giorni che deve improvvisamente fare i conti con la sua vita e la sua mortalità.
Il suo ritratto è evidentemente un passaggio semi-autobiografico in quanto David Milch è fresco di una diagnosi di Alzheimer; le riflessioni di Al non possono non essere quantomeno simili a quelle del creatore della serie. Un personaggio quasi onnipotente come quello di Al è naturalmente una sorta di doppio del suo creatore, onnipotente quanto lui, ed è tristemente ironico che le loro condizioni mutino contemporaneamente e conseguentemente.
Rivedere tutti gli altri è emozionante. Dan e Johnny sono sempre loro, così come una incintissima Trixie. Jane cresce tantissimo e finalmente riesce a godersi il suo rapporto con Joanie Stubbs, Alma purtroppo fa solo alcune fugaci apparizioni, mentre gli altri personaggi di contorno continuano a ricordarci perché questa serie era così amata. Ci viene anche regalato un brevissimo cammeo di Garret Dillahunt, al suo terzo personaggio in Deadwood. Poi ovviamente c’è Bullock.
Seth è il buono anomalo. Il buono onorevole, ma talmente irascibile da passare per pazzo. È il buono che per dovere ha sposato la moglie del fratello morto senza amarla, ma è anche il buono che l’ha tradita con Alma. È il buono che durante la serie decide di stare con la moglie nonostante sia evidente che continui a farlo per dovere, ma che dopo dieci anni è sinceramente felice. Ha calmato le sue ire e gestisce la pratica Hearst come un novello Swearengen più pulito. Come tutti gli altri è cresciuto e maturato con una coerenza invidiabile.
Le due ore scarse passano come un episodio di una sitcom e Deadwood è finito di nuovo, questa volta sul serio. Non è un capolavoro assoluto, come non lo era la serie, ma fa di tutto per esserlo. Ha i suoi errori e le sue forzature (Harry Manning traditore non realmente sostanziato), ma ottiene il massimo considerando le circostanze contingenti. Paragonarlo ad altre recentissime conclusioni è ingeneroso per gli altri; pochissime serie possono dire di aver avuto un finale dall’impatto emotivo e personale valido quanto Deadwood. E chiudendo come Al e il film stesso: “Let him fucking stay there”.
Luca Di Maio