I Deafheaven hanno finalmente fatto un disco shoegaze. Li aspettavamo da tempo, ma sembrava che il coraggio di scrollarsi di dosso la patina black metal non sarebbe mai arrivato. Anche se forse non ce lo saremmo aspettato COSÌ TANTO shoegaze.

Infinite Granite è un triplo salto mortale carpiato bendati rispetto al precedente Ordinary Corrupt Human Love, e lo è in tantissimi sensi. È shoegaze. Punto. O meglio, è quello Shoegaze prodotto da artisti con un passato più ordinario, sia esso nel metal o in qualunque altro genere. Per assurdo finisce anche per essere meno avanguardistico rispetto ai lavori che lo hanno preceduto. Già la rimozione dei contrasti tra scream lacerante e chitarre sognanti rende tutto più “normale”, ma anche la struttura delle canzoni stesse è stata semplificata andando a battere più su Ride e Slowdive, piuttosto che su MBV. Anzi, sapete su chi batte davvero? Sui nostrissimi Klimt 1918.

I Klimt 1918 facevano shoegaze a leggere tinte metalliche quando le scarpe non voleva guardarsele più nessuno, nemmeno i feticisti del piede. Infatti venivano proposti con un curioso travestimento gothic rock/metal e accostati a forza a Katatonia, Anathema, Paradise Lost e compagnia. A noi metallari goticoni dei primi anni duemila piacevano assai, anche se il loro vero pubblico potenziale è rimasto principalmente ignaro delle loro gloriose gesta. Soprattutto i primi due dischi Undressed Momento e Dopoguerra sono una sorta di proto-Infinite Granite con quasi vent’anni di anticipo.

Voce sognante, ma mai assente. Ritornelli orecchiabili, ma anche un po’ storti. Chitarre avvolgenti e rarefatte, ma che non lesinano il frequente riff cazzuto. Batteria incisiva e presente a chiarire la provenienza death metal per i romani e black metal per gli americani. Infinite Granite aggiunge qualche chitarrismo al limite del progressive, ma mai ridondante, abbinato a rimandi che me li fanno visualizzare sotto il palco a fissare Johnny Marr come ipnotizzati; se non fosse che sono quasi tutti nati dopo lo scioglimento degli Smiths.

Dopo i primi due lavori, i Klimt 1918 hanno scelto una strada curiosa, che non mi stupirei se finisse per essere simile a quella che intraprenderanno i Deafheaven. Con Just In Case We Never Meet Again hanno quasi smesso le vesti Shoegaze per attraversare lidi più concretamente indie; per poi aspettare otto anni e tornare dove tutto è cominciato con Sentimentale Jugend, estremamente debitore ai My Bloody Valentine più che a chiunque altro, spingendosi anche sull’avanguardia pura in alcuni frangenti (la struggente Stupenda e Misera Città su tutte).

Infinite Granite è un disco di grandissima solidità, di grande coesione sonora, ma che in ogni canzone può lasciar presagire un futuro diverso per il gruppo americano. Great Mass of Color è un po’ come se Johnny Marr avesse fatto un featuring con gli Slowdive, The Gnashing ricorda il clamoroso Deathconsciousness degli Have a Nice Life nel suo essere a cavallo tra metal, gothic e post-punk; Lament for Wasps è forse il pezzo più shoegaze dall’album nel suo ipnotico climax tra loop rarefatti e batteria martellante. In giro troviamo anche un paio di scream, sempre in chiusura di pezzo, e anche come ultimissime note, accompagnate da un blast beat decisamente nostalgico. Sicuramente uno shoegaze diverso, moderno.

Esatto. Il grosso rischio di un lavoro come questo era quello di perdersi nel citazionismo confuso o nella riproposizione sterile di quanto già prodotto dai loro illustri predecessori. Invece questo è shoegaze 2021; conscio di quanto successo in passato, ma che guarda avanti a quello che si può fare con un genere che può dare ancora molto al mondo della musica. Rimane che i Klimt 1918 avevano già fatto quasi tutto nel 2003 senza che se ne fosse accorto nessuno, magari nemmeno i Deafheaven. Chissà. Io dico di ascoltarli entrambi.

Luca Di Maio

In anteprima trovate anche la playlist che passerà Giovedì 15 Settembre alle 21 nel mio segmento su RadioQuar. 1 ora di Shoegaze tra passato e presente.

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