Correva l’anno 2017 e di jazz non sapevo praticamente nulla. Non che oggi abbia fatto chissà quale miglioramento, ma sei anni fa non sapevo nemmeno chi fosse Enrico Rava. E così andai a cinque minuti da casa per vedere Fabrizio Bosso con il suo quartetto, così perché era vicino, e perché è sempre bello provare cose nuove. Non mi ero nemmeno accorto che oltre a “Fabrizio Bosso Quartet” sul biglietto ci fosse scritto “featuring Enrico Rava”. Il concerto cominciò e mi mise di fronte a un jazz sincopato, tecnico, interessante, ma alle mie orecchie un po’ freddino. Fino a quanto non comparì un anziano signore con baffi, lunghi capelli grigi e un flicorno. Apriti cielo.
Il fatto che non sapessi nemmeno chi fosse, mi mise al riparo da qualsiasi rischio di giudizio dovuto alla statura dell’artista in questione. Ma ogni singola volta che Rava soffiava nel suo strumento, a me venivano i brividi. Per fare un paragone chitarristico era un po’ come sentire Steve Vai e David Gilmour. Bosso bravissimo e tecnico, ma allo stesso tempo un po’ distante e analitico. Mentre Rava era pura libera emozione.
Negli anni ho poi approfondito sia la sua musica che la sua persona. Musicalmente non sono ancora un grande amante del free jazz e degli aspetti pià avanguardistici del genere, quindi trovo un po’ ostica buona parte della sua produzione degli anni sessanta e settanta, mentre mi scioglie come il burro ogni qual volta lo ascolto su qualcosa di più melodico e emotivo. In più il personaggio è strepitoso. 84 anni, ancora tour in giro per l’Europa, una decina di anni fa ha scritto questa splendida autobiografia intitolata Incontri con Musicisti Straordinari in cui racconta una sorta di storia parallela del jazz e dei suoi migliori interpreti. È semplicemente un libro incantevole, divertente e affascinante. Una chicca che qualsiasi amante della musica potrebbe apprezzare.
Luca Di Maio