Dubito che questo sarà qualcosa di simile a un canonico reportage di un concerto dal vivo; troppo è successo negli ultimi due anni per poter pensare di iniziare a parlare di quanto abbiano spaccato i Maybeshewill o di quanto sorprendente sia stata Gold Mass.
Il mio ultimo concerto in piedi, al chiuso e senza distanziamento è stato a fine Gennaio 2020, quella devastante prestazione dei Candlemass allo Slaughter Club di Paderno Dugnano, oltre due anni fa. Da quel giorno solo qualche concerto seduto e distanziati, oltre a una quantità improbabile di biglietti rimborsati (due volte Steven Wilson, due volte i Black Country, New Road, i Jethro Tull, i Darkness, e sicuramente mi dimentico qualcuno). Non che non mi fosse chiaro quanto mi mancassero, non facevo altro che ripeterlo, ma l’esperienza è sempre qualcosa di diverso.
Aggiungo che sono andato al Circolo Magnolia in solitaria, senza parlare con nessuno per le circa tre ore in cui sono stato dentro al locale. Si è trattato di una esperienza estremamente personale, vissuta con un utilizzo minimo del cellulare in modo da poterla assaporare completamente. E averlo fatto con del rock strumentale a volume altissimo è stato la ciliegina sulla torta. Citando al contrario il buon Stuart Braithwaite dei Mogwai, non avere testi su cui focalizzarsi è la chiave per focalizzarsi su noi stessi e le nostre emozioni.
La batteria. Non è l’elemento più distintivo dei Maybeshewill, almeno non quanto le tastiere e le chitarre, ma questa volta ha giocato un ruolo fondamentale nel farmi sentire. Ogni rullata, ogni colpo, era come una spinta a muoversi, in particolare durante quei momenti in cui si intrecciava all’elettronica andando a ricreare qualcosa di simile alla drum’n’bass suonata. Quella spinta dancefloor che difficilmente si ritrova in un concerto più canonicamente rock. Allo stesso tempo seguire le mani del chitarrista solista durante quegli assoli tanto semplici quanto carichi di emozione, portava a una sorta di visualizzazione della musica stessa, durante la sua creazione.
Non si poga a concerto di Post-Rock, ma si salta, si battono le mani e si segue il ritmo. Quanto mi mancava sentirmi una cosa sola con il resto del pubblico! In quel preciso momento tutte le differenze, magari incolmabili, tra le due/trecento persone presenti svaniscono completamente. Esiste solo la musica, il beat, il suono, l’emozione. E allora ci si muove, si sorride, si guarda il cielo, catarsi.
In alcuni pezzi non mancano dei riff tendenti al metal, e allora partiva l’headbanging; ma l’headbanging a un concerto è completamente diverso da quello fatto in casa o in discoteca. È alimentato da endorfine che contribuisce a generare a sua volta in un circolo virtuoso di godimento. Durante He Films the Cloud c’è stato anche spazio per l’unico momento cantato da parte del pubblico; perfetto perché posto in chiusura, come liberazione finale di tutte le emozioni accumulate.
Canzoni come Zarah e Not For Want of Trying sono sorrette da un paio di potentissimi discorsi campionati che vanno a commentare amaramente lo stato attuale delle cose; in un’invettiva anticapitalista mai appropriata quanto in questo preciso momento. Il loro contributo emotivo si è un po’ perso nel mare di un pubblico forse non eccessivamente consapevole del loro contenuto; io avrei voluto urlarli con tutta la voce che avevo in corpo.
In apertura si è presentata la cantautrice alternativa Gold Mass, la quale ha molto ben figurato con il suo quasi trip hop moderno cantautorale. Ci ha regalato una prestazione molto intima e trasparente mettendosi a nudo sia emotivamente che intellettualmente. Oltre a una divagazione di astrofisica, ha voluto mettere a fuoco il particolare momento di guerra in cui ci troviamo, e il ruolo che può assumere l’arte in questo momento.
I Maybeshewill su questo argomento sono stati molto più sintetici, ma non meno efficaci. “Ci sembra poco serio essere qui sul palco e non prendere atto che il mondo è una merda. Peggio di qualsiasi altro momento durante le nostre vite. Forse anche per questo siamo ancora più felici di poter suonare qui per voi dopo così tanti anni”. E noi vi ringraziamo per esserci stati. Senza l’arte, senza la possibilità di catalizzare le nostre emozioni, sarebbe tutto estremamente più difficile.
Luca Di Maio
E questa è la playlist con la setlist della serata: