Nuovo episodio di “Fosforo”. L’obiettivo è sempre quello di ricordarvi cose, punzecchiare la vostra mente, focalizzare la vostra attenzione e svegliarvi dal torpore. Oggi trovate quattro pillole da tre MangiaCassette diversi.

Come sempre ci facciamo aiutare da supporti video e dalla playlist “Fosforo” che aggiorneremo ogni volta con le nuove pastiglie dell’elemento miracoloso.

Fosforo sta avendo un suo un suo sviluppo anche sul nostro sempre più seguito canale Instagram. Stiamo producendo dei brevi video nelle storie in cui parliamo degli stessi temi e condivideremo immagini di video, citazioni e altro materiale.

E ora andiamo avanti.

Il cambiamento di Anika

È uscito da pochi giorni Change, primo disco solista di Anika, a undici anni dall’album omonimo che l’ha vista trasformarsi da giornalista politicamente impegnata a cantante quasi di nicchia. Durante questi undici anni non ha prodotto molto, ma tutto quello che ha cantato è entrato di diritto nel pacchetto underground più ricercato e di classe.

Ed è per questo che intorno a questo disco ci sono altissime aspettative.

La critica musicale più acclamata paragona Anika a Nico, icona dell’alternative punk rock degli anni ‘60 e ‘70, proprio per la freddezza della sua timbrica vocale e per la facilità con cui declama testi importanti.

Come se proprio quella voce li rendesse ancora più centrati.

Change è il suo primo lavoro da solista con nove tracce inedite, poco più di mezz’ora di musica marcatamente dub, psyco, acid, trip hop e soprattutto post punk che accompagnano la sua voce senza fronzoli impegnata anche in parti spoken abbastanza buone. Musicalmente si nota una bella evoluzione con il lo-fi che ha caratterizzato i suoi lavori iniziali che diventa meno forzatamente stridulo.

È una sfida, anche una incognita, però il disco si fa ascoltare anche piuttosto facilmente.

(MaRo)

Blake is Back

Il ritorno del giovane “più di un songwriter” britannico. Produttore, elettro perfezionatore, scrittore di note e testi che rispecchiano arie contemporanee.
Di pochi giorni fa l’uscita del singolo Say what you will che anticipa il quinto album, dal titolo emblematico Friends That Break Your Heart.
Si tratta di una ballad che segue il topic delle reazioni/realizzazioni post pandemiche. Una tendenza fruttuosa e consistente di cui stiamo dando parecchio spazio perché specchio di un periodo storico che ci accomuna, ma anche una scrittura più intima ed emotiva che ci stava mancando. In Say what you will anche Blake sceglie un punto di vista più individuale, un sentimento di dolce resa che presagisce all’intima volontà di riprendere dove si era rimasti seppur inevitabilmente consapevoli e diversi. Un distacco dalle aspettative o dal social sociale per riappropriarsi di se stessi o semplicemente riscoprire una direzione più genuina.
Dichiara lo stesso autore:
“La canzone parla del trovare pace con chi si è in qualsiasi momento della tua vita ti trovi, indipendentemente da quanto meglio gli altri sembrino fare. Il confronto davvero ti porta via la gioia”.

Un testo che, da persona che lavora nel creativo, innegabilmente, sento particolarmente affine. Un’ottima partenza che mi fa incuriosire verso tutto l’album. Blake lo definisce un concept di 12 pezzi, una sorta di diario in note? Attendiamo per scoprirlo.

Un passo indietro, 2013. Di Blake vi segnalo un altro brano “Retrograde”, la canzone che quasi certamente avrete sentito passata in radio più è più volte. A mio avviso merita un ascolto ulteriore per l’affascinante costruzione e assemblaggio creativo di un quasi pop che easy pop non è.

(Sara Capoferri)

The Algorithm: il futuro è ora.

Durante una delle mie solite scorribande randomiche su Spotify, da un po’ di tempo a questa parte a tema cyberpunk, all’ascolto di Interrupt Handler dei The Algorithm mi scende un brivido lungo la schiena: riffoni devastanti uniti a beat oscuri e martellanti. Chitarre e Synth, progressive metal ed elettronica. In pratica il mio sogno malato fin da sempre, represso e sempre deluso da una folta schiera di gruppi metalcore.

The Algorithm è un progetto solista del francese Rémi Gallego. The Algorithm è il nome scelto per mettere in evidenza la complessità che si nasconde dietro alla musica, messa in grande risalto dal progetto che riesce a far convivere e mettere in risalto sia i tecnicismi di chitarre e batteria, sia le sonorità elettroniche che spaziano dagli anni 80 ad oggi. The Algorithm  ha anche da poco remixato Straight Lines dei Vola, che vale la pena ascoltare.

(Fabio Baroncini)

Soen: col senno di poi direi regressione.

La recensione di Imperial è stato uno dei miei rari pareri non positivi pubblicati su queste pagine virtuali, e nonostante tutto si chiude con un “Ora però torno ad ascoltare Antagonist.”; come a voler sollevare il disco dalle sue colpe sottolineando uno dei pezzi estremamente validi che ci ha regalato. Sbagliato.

Non ho più ascoltato Antagonist, non ho proprio più ascoltato Imperial negli ultimi sei mesi. E non me n’ero nemmeno accorto. Ho realizzato la cosa quando per l’ultimo Record Store Day i Soen hanno pubblicato The Undiscovered Lotus; un EP che include tre outtake da Lotus, oltre a tre pezzi dal vivo di Lykaia. I tre outtake di Lotus massacrano ogni singola nota di Imperial.

E ripeto che il problema di Imperial non è di natura tecnica, in quanto formalmente va tutto bene, ma qualcosa non torna. Non arriva, non passa, torna sempre lì. È un Lotus Parte 2 senza la prima parte. Manca l’emozione, manca la creatività, manca la voglia di progredire e andare oltre. EMDR e Thurifer sono più avanti di tutto Imperial messo insieme, e pensate che non ho ancora sentito il terzo pezzo Virtue, ancora non disponibile in streaming (e no, dopo la delusione di Imperial non ho comprato il vinile).

Parliamo di due tra i pezzi più elaborati degli ultimi due dischi; alternano classici riff sincopati a sezioni aperte che sprigionano il loro ricorrente disagio emotivo. Entrambi superano i sei minuti di durata mantenendo quindi il giusto spazio per elaborare le parti più meditate, ma senza sacrificare l’orecchiabilità del ritornello. EMDR sfoggia un passaggio con degli struggenti archi ad accompagnare una lunga meditazione vocale che culmina in un’emozionatissima iterazione del ritornello. Avercene in Imperial.

Dopo queste pezzi Imperial risulta più un Lotus -1 che un Lotus Parte 2. Se potessi riscriverei la recensione. Cioè, in realtà potrei, ma va bene così. Tutto rimane, come rimarrà Imperial, sperando che si tratti solamente di una piccola regressione in un lungo cammino evolutivo che riporterà i Soen in cima alla collina del Progressive Rock/Metal moderno.

(Luca Di Maio)

 

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