Quarto episodio di “Fosforo”. L’obiettivo è sempre quello di ricordarvi cose, punzecchiare la vostra mente, focalizzare la vostra attenzione e svegliarvi dal torpore. Oggi trovate quattro pillole da tre MangiaCassette diversi.
Come sempre ci facciamo aiutare da supporti video e dalla playlist “Fosforo” che aggiorneremo ogni volta con le nuove pastiglie dell’elemento miracoloso.
Fosforo sta avendo un suo un suo sviluppo anche sul nostro sempre più seguito canale Instagram. Stiamo producendo dei brevi video nelle storie in cui parliamo degli stessi temi e condivideremo immagini di video, citazioni e altro materiale.
E ora andiamo avanti.
Elizabeth Fraser
Le righe di Fosforo forse non sono abbastanza. Credo che, senza esagerare, quella della Fraser sia una delle voci femminili più apprezzate e ricercate che mi ritrovo spesso a riscoprire e da cui farmi cullare. L’avrete sentita se non da solista o con i suoi gruppi, senz’altro in alcune delle collaborazioni che richiamano quell’atmosfera di altrove (dream pop) perfettamente sospesa tra lisergica magia e malinconica dolcezza.
La Fraser, però, non è solo collaborazioni e duetti eccellenti: è Cocteau Twin, è il super gruppo This Mortal Coil. Ha anche avuto un legame speciale con Jeff Buckley, con il quale ha registrato una poesia in note preferite All Flowers In Time Bend Towards The Sun. La versione è una “buona la prima” perché poi non è mai più stata registrata. Con i This Mortal Coil ricordiamo la cover di Song to the Siren del padre di Jeff, Tim Buckley, pezzo culto che col vibrato della Fraser cambia intenzione ma non la validità. Enorme. Un’altra ballad meritevolissima è la versione Downside Up di Peter Gabriel con Paul Buchanan dei The Blue Nile. Testo talmente perfetto per il periodo storico da mettere quasi i brividi per la smaccata evidenza profetica.
Notevole l’intesa con Jónsi dei Sigur Rós con il quale la combinazione vocale è molto riuscita in ogni loro proposta. Dulcis in fundo ricordo il brano che anche grazie alla voce della Fraser, qui mostrando la sua versatilità nel cantato soft, è diventato hit: Teardrop dei Massive Attack. Non dimentico di segnalare uno dei miei pezzi preferiti di Craig Armstrong, This Love.
Noterete che, in tutti i brani che vi ho citato, la Fraser usa ogni gamma di colore possibile, senza mai essere banale o fuori posto. Seta d’estate, velluto d’inverno.
(Sara Capoferri)
Kristoffer Gildenlöw
Al cognome Gildenlöw potrebbe venirvi automatico associare il nome Daniel, talentuoso frontman degli svedesi Pain of Salvation. Ma questa volta voglio mettere sotto i riflettori il meno conosciuto fratello Kristoffer, bassista dello stesso gruppo Progressive Metal dal 1994 fino al 2006, quando lascia la Svezia per andare a risiedere in Olanda.
Servono 6 anni di lavoro, oltre a un’enormità di partecipazioni in band progressive rock, per partorire il primo lavoro solista Rust: album che conta tra gli altri la partecipazione del suo amico Fredik Hermansson al piano (ex-Pain Of Salvation), che lo accompagnerà anche in quelli successivi. Un lavoro però immaturo, non in grado di soddisfare le aspettative generate dal suo passato importante. Segue The Rain nel quale Kristoffer si avvale dell’aiuto di parecchi guest, trai i quali Lars Erik Asp (Gazpacho) alla batteria e Anne Bakker (Blaze Bayley) agli archi. Quest’album racconta la vita e la sofferenza di un uomo affetto dal morbo di Alzheimer; il progressive rock di Rust si permea ancor più di malinconia e l’uso massiccio di piano e archi contribuisce a una forte virata folk.
Prosegue su questa strada il più riuscito Homebound, uscito nel vicino 2020, che si potrebbe tranquillamente definire un album crossover prog. Il piano suona sempre oscuro e le chitarre sempre più acustiche. Chiudendo gli occhi il suono ci avvolge, freddo, malinconico, scaldato solamente dalla voce, meravigliosa, a tratti vellutata e a tratti graffiante di un bravissimo Kristoffer. Snow è una triste meraviglia, Our Home una malinconica ballad stile folk USA e la cover dedica di Chelsea Hotel #2 di Leonard Cohen è una chicca in un album che dimostra perfettamente come lo svedese si senta a casa con questo nuovo percorso.
(Fabio Baroncini)
Tash Sultana
Australiana del 1995, talentuosa polistrumentista, la giovane artista si avvicina alla musica dopo aver provato praticamente qualunque sostanza illegale; fino a quando ci resta sotto e compie una sorta di viaggio psichedelico durante il quale, dopo aver lottato con i mostri come avrebbe fatto DragonBall, decide che only music can save her.
Così impara a suonare venti strumenti al netto della chitarra che già suonava in dotazione. Venti. Sì, avete letto bene.
Capisce anche che la musica può aiutarla a superare tutti i pipponi mentali che si è fatta e tutte le crisi da cui è stata attanagliata per lungo tempo. Un giorno qualsiasi del 2016 Tash carica sul tubo un video mentre suona e, boom, decine, centinaia, migliaia di visualizzazioni. Il video diventa virale. E quindi ancora: carica video e ancora, boom!
L’EP Notion arriva nel 2016 in pieno stile indie elettronico pubblicato dall’etichetta indipendente Lonely Lands Records. Jungle è il terzo estratto e diventa traccia portante di FIFA 18. Due anni dopo passa alla Sony e pubblica il primo album, Flow State, dove tutto il suo talento è mostrato senza limiti; tutte le tracce dei diversi strumenti sono incise da lei e poi remixate. Elettronica, alternative soul e un pizzico di psichedelia rendono questo disco bello, decisamente.
Il 19 febbraio 2021 è uscito il suo secondo album Terra Firma. A parte una copertina di notevole impatto, il disco non è bello come il precedente, ma scorre comunque bene: per esempio Willow Tree, cantato con Jerome Farah è un bell’ascolto per lo vero. In generale si nota una maggiore impronta indie pop e il suo talento resta indiscusso.
Noi aspettiamo l’esplosione totale della sua musica, assolutamente convinti delle sue capacità.
(MaRo)
All-In su Kynsy
In un mese e passa di quarantena, tra la tantissima musica che sono riuscito ad ascoltare, un brano in particolare è riuscito a incarnare perfettamente il mio stato emotivo e a rimanere costantemente nella mia testa: Elephant in The Room di Kynsy. Lei è Ciara Lindsey: ventitreenne di Dublino che scrive, suona e arrangia i brani, oltre a cantare ovviamente.
Elephant in The Room è il brano che meglio rappresenta l’elettro/pop/rock proposto dalla britannica e fa parte di un EP uscito pochissime settimane fa intitolato Things That Don’t Exist. Contiene inoltre i due singoli usciti precedentemente: Happiness Isn’t a Fixed State, dove traspare il suo amore per gli Strokes, e Cold Blue Light, una semplice e orecchiabile ballad pop/rock da camera con influenze dei Talking Heads. Sotto potete vedere anche il videoclip registrato da lei stessa nel giardino di casa con tripod e smartphone.
Questa è Kynsy: giovane, senza fronzoli, ma con un grande talento. Se potessi puntare su di lei per ritagliarsi un pezzo importante di scena indie rock britannica nei prossimi mesi, lo farei senza ombra di dubbio. Aspetto con grande piacere l’uscita dell’album completo. Brava Ciara Lindsey.
(Fabio Baroncini)