Nuovo episodio di “Fosforo”. L’obiettivo è sempre quello di ricordarvi cose, punzecchiare la vostra mente, focalizzare la vostra attenzione e svegliarvi dal torpore. Oggi trovate quattro pillole da tre MangiaCassette diversi.

Come sempre ci facciamo aiutare da supporti video e dalla playlist “Fosforo” che aggiorneremo ogni volta con le nuove pastiglie dell’elemento miracoloso.

Fosforo sta avendo un suo un suo sviluppo anche sul nostro sempre più seguito canale Instagram. Stiamo producendo dei brevi video nelle storie in cui parliamo degli stessi temi e condivideremo immagini di video, citazioni e altro materiale.

E ora andiamo avanti.

Daddy’s Home – St. Vincent

Annie Clark, nota ai più come St.Vincent, ha composto un bel disco uscito da un paio di settimane e intitolato Daddy’s Home.

Non solo: si è anche musicalmente evoluta rispetto a Masseduction, pubblicato quattro anni fa in stile piuttosto elettro-pop e lievemente commerciale.

Daddy’s Home è dedicato a suo padre, libero dopo nove anni perché era stato in carcere per reati finanziari, e ai mitici 70’s.

Il disco si apre con Pay your way in pain, inizio potentissimo, una vera bomba: ammettiamo, non tutti i pezzi sono alla sua altezza. Però la diversa maturità di scrittura è piuttosto evidente. Ci sono brani che sembrano teatrali, come la title track: quando l’ho ascoltata ho immaginato l’ambientazione e addirittura una sorta di coreografia tipica dei musical degli anni 70. Poi invece arriva The laughing man, così sofisticata e bella da stoppare di botto quella coreografia per farsi ascoltare. Rapita.

Il disco è un racconto che Annie fa di sé stessa e del suo rapporto con il papà; con un’ambientazione che ricorda la New York degli anni 70, proprio quelli da lui vissuti. E lo fa senza annoiare e senza cadere in quel dolcigno che pervade i racconti di questo tipo.

Questi anni sono rappresentati da Candy Darling, musa ispiratrice di Andy Warhol che di quegli anni è un vero simbolo. Candy viene ricordata particolarmente nel disco con una ballata assai delicata e intitolata con il suo nome.

I suoni sono meno rumorosi dei lavori precenti ed è tutto più pacato, come per sottolineare il testo, le parole di tutti i brani, nei quali il papà è solo menzionato ma comunque presenza costante.

Il disco è un vero racconto sereno e consapevole. Adulto. Intimo. E’ un disco ricercato e sofisticato. Maturo. Se potessi mettere un voto, darei un 7 pieno.

(Maro)

Anthony Vincent – Uno dei migliori Youtuber sulla piazza

Ho già parlato di Anthony Vincent lo scorso anno in mezzo a un discorso più ampio riguardo gli YuoTubers, ma per varie ragioni merita di essere rispolverato. In primis perché spacca. Poi perché è genuino, perché ci crede e perché ha un grandissimo coraggio. È meglio conosciuto come “Ten Second Songs” grazie ad alcuni suoi video diventati virali nel 2014. Parliamo di oltre 20 milioni di stream; lui prendeva un pezzo e durante i suoi circa 4 minuti cambiava una ventina di stili vocali/generi musicali. Il lavoro enorme era sia di arrangiamento, ma soprattutto vocale. Un mostro.

Per oltre sei anni questo è stato il suo mestiere. Una volta al mese un pezzo in 20 generi, e due settimane dopo lo stesso pezzo per intero nel genere votato dai suoi followers. È stato promosso dai Linkin Park, avrebbe dovuto incidere un pezzo con Chester Bennington, è stato in TV, e ogni tanto qualche suo video sfondava, come quello incredibile di Bohemian Rhapsody. Nel frattempo ha avuto un paio di gruppi poco fortunati e nel 2020 ha debuttato con un progetto synth wave chiamato Silent Knife, purtroppo per ora limitato a un pezzo originale e due cover, ma che spero approfondirà.

Stiamo parlando di un polistrumentista e cantante di assoluto livello. Una star per YouTube, ma un perfetto sconosciuto per gli amanti di musica che bazzicano solamente i canali tradizionali. Sul tubo lo vediamo cimentarsi in cover, siparietti simpatici, lezioni di canto improvvisate e tanta autoironia. La sua voce gli permette di andare da Black N.1 dei Type O Negative a The Great Gig In the Sky con tutto quello che ci sta in mezzo senza mai sacrificare le emozioni. Cosa gli manca?

Pochi mesi fa la mossa coraggiosa. Decide di cambiare nome al canale (ora si chiama semplicemente Anthony Vincent, non più Ten Second Songs) e abbandonare il lavoro dei pezzi in venti generi diversi. Da quel momento ha proposto principalmente cover specifiche davvero ben arrangiate e cantate con una tecnica e un emozione che hanno pochi eguali. Ha evidentemente perso seguito, ma sta cercando la sua identità. Gli manca l’ultimo passo: diminuire le cover lavorando maggiormente su composizioni originali come la meravigliosa Could Have Been Love di Silent Knife, il mio pezzo del 2020. Dai Anthony, io credo in te.

(Luca Di Maio)

Empathy Test – Talento cristallino londinese

Continuo ad amare profondamente Fosforo. A volte non so cosa scrivere, di chi scrivere. Questo mi porta a esplorare uscendo da territori e artisti che già conosco per aggiungere qualcosa di nuovo o ripescare ciò che non avevo ancora approfondito. Questa volta a stuzzicarmi le sinapsi sono i londinesi Empathy Test, band Synth Elettro Pop indipendente, a mio avviso terribilmente sottovalutata. Sonorità anni ‘80 portate nel futuro; l’atmosfera ci trasporta in un calmo universo a tinte Cyberpunk. La voce sempre calda e avvolgente ci coccola mentre la batteria continua a dettarci il ritmo per tenerci incollati a terra ed evitare di viaggiare troppo con la mente.

Non vi farò tutta la pappardella di membri, discografia e altro, perché mai come questa volta vorrei che scopriste la band da soli. Mi limito dicendo che nel 2020 è uscito il loro primo vero album Monsters (il terzo in realtà, ma i primi due erano più collezioni di vecchi brani ed EP), che dà anche il titolo al singolo di cui sono riusciti a produrre un ottimo videoclip. Un litigio in un parcheggio, il distanziamento, il non volersi più. Una situazione ordinaria viene spezzata da qualcosa di inaspettato, spiazzante, disturbante, ma che risveglia violente pulsioni sessuali e l’attrazione reciproca mettendo completamente a nudo i protagonisti. Con le loro paure, ma anche le loro passioni che sembravano scomparse.

È proprio da qui che dovete partire per scoprire gli Empathy Test e non rimanerne delusi.

(Fabio Baroncini)

La Terza Estate dell’Amore – Cosmo

Gli occhi si sono spalancati, i piedi hanno cominciato a muoversi insieme ai fianchi e alla testa. Ecco La terza estate dell’amore, ultimo lavoro di Cosmo, presentato all’improvviso in streaming con un filmato di quattro ore che riprende luoghi classici dell’aggregazione. Tutto questo per sfanculare il covid e urlare “IO BALLO PER DISTRUGGERE CIÒ CHE SONO”; una sorta di liberazione da quello che questa pandemia ci ha fatto diventare. Il riferimento ai luoghi che simboleggiano la libertà di stare insieme è presente anche nella cover del disco piuttosto giusta e d’impatto soprattutto per il tempo che viviamo.

Vi parla una spudorata snob musicale, ma cazzo se il disco è bello.

Tecno e cantautorato. Bassi potentissimi. Ritmo arrogante. Ambient e acid-house, campionamenti a iosa, elettronica fatta bene, psichedelia, clubbing. Post-dubstep. Riferimenti al dancefloor. Un synth-pop eccellente a mio modesto parere. C’è tutto questo. E forse di più.

Un manifesto politico, che poi tra l’altro il producer di Ivrea ha proprio pubblicato insieme al suo disco nel quale i testi sono pieni di una gagliarda e quasi arrogante affermazione della libertà. Libertà di vivere, libertà di essere, libertà di fare, libertà di gioire, libertà di lottare contro il capitalismo che ci strozza, libertà di suonare senza vincoli di mercato e senza adeguarsi agli schemi del mainstream.

MA IL CAPITALISMO, BLA BLA BLA.

Nato dalla collaborazione con Silvia Konstance, è la logica evoluzione rispetto a Cosmotronic, ed è un disco denso di un linguaggio semplice e diretto. Bello.

E’ MUSICA, NO FABBRICA.

(MaRo)

 

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