Continua l’agonia della stagione finale di Game of Thrones (o per gli italianofili come dovremmo essere noi, Il Trono di Spade) con il secondo episodio intitolato A Knight of the Seven Kingdoms e, seppur con notevoli miglioramenti rispetto al deludentissimo episodio di apertura, non ci siamo.
Il problema principale di questa settimana, e di tutte le ultime tre/quattro stagioni, è quello che era la grande forza della serie: i personaggi. Abbiamo una così grande dose di buonismo che al confronto After Life sembrava The Wire. Tutti perdonano, tutti diventano buoni, tutti si vogliono bene. Fino al momento in cui la serie seguiva a grandi linee i libri, avevamo pochissimi buoni e cattivi nel vero senso della parola; c’erano principalmente tante sfumature di grigio, spesso tendenti allo scuro. Adesso c’è solo il nero (White Walker e Cersei) e il bianco (tutti gli altri). La semplificazione della psicologia dei personaggi è andata rapidamente a rimuovere tutto lo spessore del quale erano stati imbevuti da George Martin.
Sicuramente si tratta di un episodio più soddisfacente rispetto al precedente in quanto ci sono dei veri e propri dialoghi, nessuno illuminante, ma quantomeno succede quello che ci si aspetta. Sicuramente da due episodi se ne poteva fare uno.
Nel dettaglio:
Arya
Sebbene la sua avventura con Gendry abbia abbastanza senso da un punto di vista narrativo, la realizzazione è quantomeno patetica. La scena in cui lo guarda in tutta la sua figaggine è oltre il limite del ridicolo, mentre i pochi fotogrammi post-sesso sono invece di impatto e danno l’idea della quiete prima della tempesta.
Jon e Daenerys
Ancora una volta si conferma la totale assenza di alchimia. La scena della rivelazione è scevra da ogni sentimento. Il motivo per cui tutti ripetono di continuo che si amano è evidentemente perché altrimenti non se ne accorgerebbe nessuno. Daenerys dovrebbe essere proprio uno di quei personaggi grigi; combattuta tra la natura folle del padre e il bene che vuole fare, invece va avanti con il pilota automatico facendo generalmente del bene intervallato da qualche inspiegabile colpo di testa.
Jaime
Nei libri l’evoluzione di Jaime arriva prima e in modo molto più lineare. La serie lo porta un po’ su e giù senza troppa coerenza, tuttavia quello che fa adesso ha concettualmente senso. Purtroppo la dose di buonismo presente nelle sue scene con Brienne e Bran è da voltastomaco. Perché non può rimanere un personaggio complesso invece di appiattirsi al bene? Ben fatta invece la scena con Tyrion.
White Walkers
Non si vedono ancora. Nei libri sono ancora più misteriosi che nella serie, ma è evidente che Martin li ha voluti rendere molto di più di un Sauron a caso. Non sono il male e basta, sono forse una sorta di peccato originale dell’uomo. Nella serie? Forse, speriamo. Se si rivelassero dei semplici zombie da eliminare sarebbe l’ennesima occasione persa.
Andiamo avanti. L’opinione espressa in precedenza non cambia: ci stiamo liberando di un pesante fardello che non darà soddisfazione a nessuno, se non per il sollievo di avercela fatta. Chiaramente spero di sbagliarmi.
Luca Di Maio