A partire dal loro capolavoro Night i norvegesi Gazpacho si sono mossi su un piano di esistenza completamente diverso da quello in cui viviamo noi comuni mortali. All’interno di questo piano hanno costruito un intero mondo: un mondo di sogni, un mondo di storie, un mondo che solo a loro può appartenere. Fireworker è l’ennesimo capitolo di questa storia, la cui dimensione onirica risuona ancora più forte e ancora più dolce. Se abbiamo il coraggio di varcare la soglia.

Il tema lirico alla base di Fireworker è l’esistenza di un essere, un’essenza, all’interno di ognuno di noi, che permane dall’inizio dei tempi con il solo scopo di continuare a sopravvivere. Spesso prende il sopravvento sull’io guidando le nostre azioni, altre volte si nasconde solamente, in attesa. È quello che Dexter chiamava “dark passenger” e che i Gazpacho chiamano “fireworker” o “space cowboy”. Si tratta di un interessante espediente usato per lanciarsi in riflessioni filosofico-esistenziali sulla natura della realtà, del libero arbitrio e dell’identità. Se vogliamo è una sorta di uber-concept che può posizionarsi al di sopra di quelli creati dal gruppo in passato: una maestosa chiosa per il loro mondo onirico.

Space Cowboy è anche il titolo della prima lunghissima canzone. Il protagonista si accorge dell’esistenza del fireworker e la musica lo segue in questo tormentato viaggio di scoperta interiore. Passaggi acustici, momenti epico-orchestrali e una sezione al limite del doom metal si alternano in completa armonia trascinando l’ascoltatore nel suo viaggio. Non abbiamo molto tempo per le riflessioni; la corrente risulta sempre più forte e veniamo mossi più dalla manifestazione emotiva della musica che dai pensieri filosofici delle parole.

Hourglass, Fireworker e Antique continuano il viaggio tra piano, archi suadenti, voce al velluto e fugaci esplosioni di rabbia. Il fireworker fa di tutto per imporre la sua volontà sull’io che cerca inutilmente di ribellarsi. Ha senso combattere o siamo solamente schiavi del nostro destino? Sapien chiude il disco con altri 15 minuti angoscianti dei quali non voglio rivelarvi troppo; dopotutto la mia sarebbe solo una delle tante interpretazioni possibili di questo dramma bergmaniano.

Nonostante abbia speso abbastanza tempo a parlare del tema del disco, devo ammettere che si tratta di un lavoro ampiamente godibile anche senza curarsene. Per quanto i Gazpacho si trovino spesso accostati al mondo progressive rock, e ne facciano comunque parzialmente parte, se ne discostano abbastanza sotto il profilo compositivo. La loro forza non è la complessità tecnica, ma allo stesso tempo non sono particolarmente orecchiabili; non fanno un uso intenso della ripetizione, ma riescono comunque a scrivere pezzi che superano il quarto d’ora di durata. Hanno la capacità di navigare reami compositivi complessi dedicandosi alla tessitura di trame melodiche finemente intrecciate senza perdersi né in tecnicismi, né in ripetizioni. Il termine art rock non potrebbe essere usato in modo migliore.

Possiamo certamente fruire del disco prescindendo dal tema lirico, ma temo che la musica e i Gazpacho stessi non possano in alcun modo prescindere dal tema. Non credo sia possibile concepire costruzioni di questo tipo senza essere guidati dal sogno stesso, da un obiettivo più grande, da una forza che trascende la mera creazione musicale. Il tema e la musica vanno di pari passo, si influenzano a vicenda e portano a compimento qualcosa che non potrebbe essere diversamente. Non dovremo mica ringraziare il fireworker alla fine?

Luca Di Maio

P.S.: la cassetta allegata raccoglie una Gran Selezione compilata in seguito a dolorosissime esclusioni. Sono pochissimi i gruppi che possono contare almeno otto dischi consecutivi di questo livello (a partire da Night), senza dimenticare gli ottimi tre lavori precedenti. Da notare che gli unici album di cui non sono riuscito a escludere nessuna canzone sono proprio NightFireworker, un motivo ci sarà.

5 1 vote
Article Rating