A distanza di tre anni dal devastante Ghost Tape #10, tornano i maestri irlandesi del Post-Rock emotivo, e lo fanno con Embers, un disco in prima istanza spiazzante. Sì, perché la loro discografia ha spesso corso il rischio di finire in una continua ripetizione di elaborazioni di All Is Violent, All Is Bright, nonostante si fosse sempre trattato di ascolti piacevolissimi. Mentre con gli ultimi due dischi penso si siano completamente affrancati da questa possibile condanna.

Ghost Tape #10 era il disco della violenza emotiva, come dissi al tempo, mentre il nuovo Embers sembra essere quello dell’elaborazione. Gode in primis della presenza di Jo Quail, maestosa violoncellista nota nel mondo dell’avanguardia alternativa da sempre vicina alla musica pesante. Jo impreziosisce tutti i pezzi con i suoi soundscape andando anche a dominarne alcuni soverchiando i più canonici strumenti elettrici ed elettronici del gruppo. La pesantezza di tre anni fa c’è ancora in alcuni frangenti, ma è come sciolta dalla sua stessa elaborazione; il riff thrash metal rallenta diventando un po’ mediorientale, la tastiera riempie maggiormente i vuoti, e il violoncello rompe tutto il resto. La batteria è sempre soffice e martellante allo stesso tempo, come solo Lloyd Hanney riesce a concepire.

Inizialmente ho detto che è stato spiazzante perché mi sarei aspettato una continuazione (o forse inconsciamente una ripetizione) del disco precedente, mentre Embers se ne discosta molto finendo per essere il loro lavoro più avanguardistico sotto il profilo della ricerca sonora pur rimanendo distintamente un disco dei God Is An Astronaut.

È tutto bellissimo, ma Heart of Roots mi spacca sempre in due. Capolavoro.

Aggiungo che a inizio anno è uscita in vinile un’altra splendida collaborazione tra i Godi s An Astronaut e Jo Quail nella forma di Live at Dunk!Fest 2023. Si tratta del loro primo disco dal vivo in senso stretto, se non consideriamo i live in studio dei primi due album, e cattura la loro esibizione al Dunk!Fest in Belgio dell’anno scorso.

La setlist è simile a quella del resto del tour a cui ho avuto la fortuna di assistere anch’io, ma impreziosita dalla presenza di Jo Quail su tutte le canzoni a eccezione delle prime due. E fa tutta la differenza del mondo. Quail aggiunge quel tocco di avanguardia che manca dal gruppo irlandese, dichiaratamente radicato in una sorta di rock/metal influenzato dall’universo elettronico negli anni sempre meno presente. Lo fa in modo dolce e irruento allo stesso tempo, perché raramente si sente il violoncello entrare per sottolineare la melodia già esistente; se lo fa è dissonante, ma più spesso fa assolutamente altro, e in modo filtrato e distorto aggiungendo rumore. Ma rumore bello, rumore perfetto, rumore complementare.

Poi per il resto è tutto devastante. Dal vivo i loro pezzi acquisiscono una organicità e una concretezza che in studio non c’è in quanto solitamente smorzata dalla produzione. Nel senso: questa è musica pesante, questi ragazzi fanno heavy metal anche se ci raccontano che suonano Post-Rock, dal vivo è lampante. Ma lo fanno con classe, con rispetto, con melodia e con tanta emozione. E poi ancora, Jo Quail cambia tutto.

L’anno prossimo saranno in tour con lei in apertura e spero anche sul palco con loro. Sarà imperdibile.

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