Essendo un utente Spotify Premium da ormai più di un lustro, devo ammettere che non sto comprando tantissimi dischi ultimamente. Non c’è tempo, Spotify non te lo lascia il tempo, perché non riesco ad ascoltare due volte un disco prima che la mia cartella con le novità contenga già altri quattro o cinque album da scoprire. È un moto perpetuo senza possibilità di chiusura. Per questo motivo la musica non si sedimenta realmente e non esistono più i veri classici. Ma non voglio parlarvi di questo, voglio parlarvi di una nuova tradizione che ho inaugurato questo Dicembre.
La nuova tradizione vuole che alla fine di ogni anno io acquisti, rigorosamente in vinile, tutti i dischi che mi hanno maggiormente colpito nei dodici mesi precedenti. L’idea è cercare di renderli immortali, cercare di far sì ce non si perdano nelle cerchie infernali dello streaming, ma che rimangano tutta la vita per poter essere ricordati, almeno da me. Quindi giusto pochi giorni fa mi sono arrivati gli ultimi album di Leprous, Soen, Jan Akkerman, Tim Bowness e No-Man.
Tutti questi artisti provengono dal mondo del Progressive Rock, ma in un certo senso quasi non ne fanno più parte. Akkerman lo ha in parte inventato, assieme al metal, quando era la chitarra dei Focus, ma se ne è distaccato abbastanza navigando lidi più jazz, i No-Man non lo sono mai stati, ma dietro al loro nome si nascondono Steven Wilson e Tim Bowness alle prese con del synth pop; proprio Bowness ritorna con il suo album solita, sicuramente più Pop/Rock artistico che progressive. I Soen e i Leprous sono tra i vari esodati dal mondo del metal ad aver capito che per fare della vera innovazione bisogna uscire dalle nicchie e sperimentare. I Lerpous con Pitfall occupano territori trip hop, wave, dark, elettro, mentre i Soen con Lotus sono tornati un po’ agli anni settanta pur mantenendo un suono squisitamente moderno all’interno dell’universo rock progressivo.
La parola chiave di questo discorso penso sia eclettismo: spaziare tra i generi più disparati, combinarli tra loro, tornare al passato per andare nel futuro, provare ad anticipare il futuro andando nel passato. Questo per quanto mi riguarda è il futuro della musica. Recentemente Steven Wilson ha detto “negli anni settanta si inventava tutto da zero con gli strumenti elettrici, negli anni ottanta ha fatto la sua entrata l’elettronica, nei novanta i generi hanno iniziato a essere mischiati, e adesso siamo al punto che qualsiasi suono al mondo può essere campionato, non c’è più nulla da inventare da zero”. Non potrei essere più d’accordo, infatti la strada è proprio quella della commistione di generi e l’abbattimento della barriere.
Nella cassetta allegata trovate un mio personalissimo “meglio del 2019” con il tentativo di essere il più eclettico possibile entro i limiti dei miei gusti. Partiamo dal rock progressivo con gli artisti già menzionati, oltre a loro fatevi il favore di ascoltare il pezzo degli RPWL, di Randy McStine, degli Opeth e degli Aristocrats (ma anche tutti gli altri chiaramente). Nel progressive metal i sedici minuti di follia dei Periphery valgono il tempo speso, nel metal gli In Flames e i Rammstein sono quasi stati acquistati, quindi fate voi. I The Darkness sono sempre uno spasso e i Candlemass hanno fatto un ritorno coi fiocchi. Per gli amanti del jazz Gilad Hekselman è strepitoso, parlando di classica Einaudi ha invece sfornato un’opera composta da sette album veramente monumentale e i giapponesi MONO trascendono il post rock con un altro disco che forse verrà acquistato in seconda battuta. I No-Man rappresentano il synth-pop, orfani di uscite valide nel mondo EBM, con l’esclusione dei Combichrist, che io ho però sempre visto più vicini all’industrial metal. La musica italiana è rappresentata da L’amore è una dittatura degli Zen Circus, pezzo presentato a Sanremo che trovo assolutamente meraviglioso. Il mio consiglio è di andare dall’inizio alla fine, se qualche pezzo non è nelle vostre corde saltatelo, la cosa peggiore che vi possa succedere è scoprire qualche chicca sconosciuta.
I generi menzionati sopra non sono nemmeno tantissimi, ma solo pochissimi dei pezzi che trovate appartengono realmente a un solo universo. Sicuramente è il caso dei Machine Head e dei Candlemass (guarda caso gruppi metal), ma praticamente tutti gli altri seppur etichettati in un modo o nell’altro, stanno già trascendendo la loro stessa etichetta. Definire progressive rock (o addirittura metal) Pitfalls dei Leprous è più ridicolo che riduttivo, non sentire le influenze della musica classica nei MONO è da sordi, dire jazz fusion quando non si sa quale etichetta affibbiare a un artista è spesso l’unica soluzione, come nel caso di Jan Akkerman.
Questa commistione di generi, questo eclettismo sfrenato, non possono però prescindere dalla componente emotiva. Il grossissimo rischio che si corre a buttarla sul tecnico, sull’artefatto, sul costruito è di perdere l’emozione. Succede a tantissimi gruppi progressive metal, è valido nel mondo del jazz, dei virtuosi, nelle super produzione pop e nei cantanti prodotti dai talent. La soluzione non è la tecnica, non è l’estensione, la velocità o l’aver unito il maggior numero di generi possibili all’interno di un pezzo; senza emozione tutto ciò non vale niente. Come già visto qualche mese fa, il progressive rock ha saputo uscire da questa gabbia in modo eccelso, e la speranza è che anche artisti etichettati diversamente seguano la stessa strada utilizzando la loro creatività per canalizzare delle emozioni forti senza perdersi in tecnica e produzione. Molti lo stanno facendo, e non ce li godiamo, sperando che il 2020 sia un anno ancora migliore.
Luca Di Maio
[…] Arriviamo ai due “Baglioni Festival”. Nel 2018 si trovano discrete tracce di rock grazie al ritorno de Le Vibrazioni con Così Sbagliato (in cassetta presentata in un sorprendente duetto con Skin) e alla reunion dei Decibel di Ruggeri con un buon pezzo dedicato a David Bowie. Nel 2019 invece abbiamo potuto apprezzare la perla di L’amore è una dittatura degli Zen Circus: un pezzo incredibilmente coraggioso, senza ritornello, che parla di amore, migranti e isolamento, un poesia in musica. Forse il pezzo più rock della storia di Sanremo in quanto viene da un gruppo che avere potuto buttare tutto in caciara come Lo Stato Sociale e invece no,… Leggi il resto »