A un anno dall’uscita di IRA, e dopo averlo visto dal vivo in due occasioni molto diverse, mi sembra doveroso fare il punto sugli ultimi dodici mesi di Iosonouncane. È doveroso perché non capisco come facessi a non conoscerlo prima di IRA, un disco che mi ha letteralmente folgorato; lo è perché l’anno scorso rimasi molto deluso dal suo concerto solo elettronico, e lo è perché ho appena visto il live dell’anno, il suo.
Questo articoletto sarà quindi una sorta di recensione postuma di IRA e dei due concerti; un po’ per chiudere il suo percorso fino a oggi, sperando che lo riapra presto con un nuovo lavoro di livello almeno equivalente.
IRA: i piatti
Ho dovuto ascoltare IRA a furor di popolo perchè tutte le mie bacheche ne erano letteralmente intasate. Dopo i primi due minuti di Hiver avevo già capito di essere al cospetto di qualcosa di enorme. Le aspettative erano state completamente disattese in quanto nella mia ignoranza ero in attesa di semplice indie rock italiano. Vi potete quindi immaginare lo stupore quando mi sono trovato al cospetto di questo piano, di questa elettronica triphoppeggiante e minimalista, di questa voce suadente che canta in una lingua apparentemente incomprensibile, di queste atmosfere eteree e malinconiche, e di questi piatti.
I piatti sono il fil rouge di IRA e sono stati la mia croce, ma soprattutto la mia delizia, in questo anno di Iosonouncane. In ogni pezzo, non importa quanto elettronico e borderline rave, ci sono loro, a tenerci ancorati al terreno, al mondo materiale e organico. Se i piatti sono l’oggetto, organico è l’aggettivo. Volendo dargli un’etichetta comprensibile a tutti, IRA è un disco di musica elettronica sperimentale, ma un’elettronica quanto mai organica e tangibile.
I synth sono tutti hardware, le alterazioni sono tutte fisiche, si tratta appunto di un’elettronica che posso toccare. Ashes segue Hiver e ci trasporta nell’universo più rave di Iosonouncane; dove appunto i piatti si rivelano come il trait d’union tra il mondo sintetico e quello fisico portando questa creazione su un piano che fatico a non identificare come Post-Rock.
Il Post-Rock a cui mi riferisco non è certo quello fatto di infiniti climax chitarristici che si è impadronito del nome nelle ultime decadi; è piuttosto quello “scoperto” da Simon Reynolds, il quale nel ’93 aveva definito “Post Rock / Post Rave” gruppi come gli Insides e i Seefeel. IRA (ma anche il precedente DIE) non si è rifatto a questo movimento, ma ne riprende inconsciamente i dogmi; utilizzare strumenti rock per fare cose non rock e, aggiungo sempre io, utilizzare strumenti non rock per fare cose rock. Le chitarre sono texture, la batteria è melodia, e l’elettronica organica è tutto il resto.
Potrei fare un track by track, ma con un anno di ritardo lascerebbe il tempo che trova. Il disco è un viaggio immersivo di quasi due ore con una parte centrale elettronicamente piuttosto ostica, ma che riserva indubbie ricompense.
Rispetto a DIE, IRA si spinge ancora oltre sotto il profilo creativo estremizzandone la commistione di generi diventando a sua volta qualcosa di unico. Il disco esce dai confini nazionali tecnicamente, fisicamente e metaforicamente. I testi scritti in una sorta di lingua creola che unisce inglese, spagnolo, francese e arabo sono sia simbolicamente, che praticamente un saluto all’Italia e al concetto ormai discutibile dei confini di qualsiasi genere. IRA potrebbe, e dovrebbe, essere un successo planetario. Con il senno di poi rimpiango di averlo messo al quarto posto nel mio fine anno: almeno il secondo se lo sarebbe meritato.
Ancona, 5 agosto 2021: e i piatti?
Durante la seconda estate fitta di concerti cancellati per il COVID, quello di Iosonouncane è stato uno dei pochi a reggere. Le mie aspettative erano altissime, volevo sentire quel muro di elettronica assieme a quel dolcissimo tintinnare di piatti che tanto mi aveva assorbito nei mesi precedenti. Ebbene, non mi ero informato a sufficienza.
Il tour dell’estate 2021 è stato una sorta di esperimento solo elettronico con il buon Jacopo Incani (questo il vero nome di Iosonouncane) assieme ad Amedeo Perri e al suo produttore Bruno Germano. Un’ora e mezza di loro tre che massacrano tutto l’armamentario elettronico possibile con Incani alla voce. E noi seduti, distanziati, fermi, tristi. E senza i piatti.
Con il senno di poi è stato una cosa interessante, ma da un lato le aspettative, dall’altro l’impossibilità di muovere il culo, me l’hanno reso molto indigesto. Era una sorta di rave suonato, che da seduti perdeva un po’ il suo senso. Inoltre la natura organica di IRA era messa in discussione dalla sintetizzazione di tutto l’apparato narrativo, piatti inclusi. È stato interessante sentire la bellissima Buio da DIE, anch’essa però come menomata dall’assenza degli elementi più tangibili.
Con le aspettative ben settate, avendo già fatto l’esperienza dal vivo della band al completo, e soprattutto potendo muovere il culo, sarebbe stato un bel progetto che mi sarei goduto diversamente. Ma così non è stato.
Bologna, 10 giugno 2022: FINALMENTE I PIATTI!
Purtroppo la serie di concerti in cui IRA veniva suonato nella sua interezza era sold out da oltre un anno, e non sono riuscito a partecipare. Fortunatamente Incani ha voluto chiudere il ciclo di IRA con un altro breve tour con i sette elementi al completo sul palco, e una scaletta un po’ diversa.
Nonostante la delusione dell’anno precedente, ero sorprendentemente carico per la data di Bologna, forte dell’idea che avevo in testa rispetto a quello che doveva essere un concerto di Iosonouncane. Ancora una volta le mie aspettative sono saltate, ma per il meglio.
Mi aspettavo una suadenza e un avvolgimento che c’è stato, mi aspettavo il tintinnare dei piatti che tanto mi faceva godere, ma non mi aspettavo questa incredibile esplosione di coinvolgimento. È stato un concerto vivo nel vero senso della parola; la musica di Incani può essere abbastanza impenetrabile, ma in questo contesto è stata anche estremamente terrena.
E poi dopo Inam, l’inedito posto in apertura, parte Ashes, e la mia testa esplode. Questo è esattamente come mi sarei immaginato un suo concerto, ma molto di più. I PIATTI, il resto della batteria, la percussionista, e tutti gli altri a massacrare i vari synth, tastiere e campionatori. Ma l’impatto è quello che più sorprende; quando si passa da disco ad ambiente dal vivo, si corre spesso il rischio di perdere qualcosa per strada, ma IRA ne guadagna da ogni angolazione.
L’altro elemento che non mi aspettavo è il divertimento. Non solo nostro, finalmente nelle condizioni di muovere i nostri culi pesanti, ma anche il loro. La percussionista Mariagiulia Degli Amori in particolare è stata una dimessa mattatrice, il serissimo Simone Cavina alla batteria si lasciava spesso andare, così come tutti gli altri e lo stesso Incani; particolarmente carico ogni qual volta imbracciava la chitarra.
Pezzi di IRA, con Giugno e Tanca per toccare gli altri suoi due dischi, e anche un paio di nuove composizioni, si sono susseguite in quello che era parte concerto rock, parte rave, parte colonna sonora, ma in toto un’esperienza multisensoriale totale. Soprattutto quando si spingono sui rumorismi più estremi, l’ascolto può essere ostico ai più, ma sono dell’idea che qualsiasi amante della vera musica possa godere almeno in parte di questo incredibile spettacolo.
Rimane il rimpianto di non aver visto l’esecuzione completa di IRA, ma allo stesso tempo non credo che farlo seduto in un teatro con una mascherina in faccia sarebbe stato paragonabile a questa meraviglia. Liberi da ogni restrizione, liberi da ogni confine, liberi da ogni pregiudizio. L’anno scorso Incani ha detto una cosa bellissima su IRA, che trovo si applichi ancora meglio ai suoi concerti:
“Questo è un disco politico perché afferma una cosa che trovo sia di assoluta e vitale importanza, e cioè che la comunicazione non è solo quell’atto che permette di veicolare un messaggio senza fraintendimenti. Quella è un’idea commerciale della comunicazione. A me interessa dire invece che l’uomo, il mondo, la realtà, la storia, sono molto più di questo. E questa è un’operazione inevitabilmente politica, perché assolutamente contraria a quelle che oggi sono le leggi del mercato.”
Luca Di Maio
Seguono due playlist con le setlist dei due concerti a cui sono stato. A Bologna hanno aperto con un inedito, Inam, e chiuso con Sacramento, scritta per il film muto omonimo di Alessandro Gagliardo. Mentre ad Ancona hanno suonato due pezzi elettronici inediti ancora senza nome.