La scorsa settimana gli Iron Maiden hanno portato in America il loro Legacy Of The Beast Tour che tanto aveva incantato l’Europa lo scorso anno; così preso dalla nostalgia ho pensato di scrivere due righe riguardo il loro incredibile stato di forma, considerando un’età media di 62,666 anni (non scherzo, fate i conti).

I Maiden o li ami o li invidi, non c’è altra soluzione. Assieme ai Metallica sono l’unico gruppo realmente metal a esser riuscito ad arrivare alle masse, con la differenza che i Metallica l’hanno fatto compromettendo la loro integrità artistica, mentre Steve Harris e soci sono stati sempre fedeli alla loro base fan, seppur evolvendo continuamente nei loro oltre quarant’anni di carriera.

Nel 2010 uscì The Final Frontier, disco accolto piuttosto male dalla critica e che dal titolo lasciava presagire un’imminente fine del gruppo. Nonostante lo trovi in realtà molto sottovalutato, anche se inferiore sia al precedente che al successivo, sarebbe comunque stata un’uscita di scena non degna della loro carriera, una sorta di anticlimax che non gli si addice. Per il relativo tour vogliono sorprendere tutti e portano in giro per il mondo una scaletta basata quasi esclusivamente su pezzi degli anni duemila. Già, quando tutti i gruppi cercano di suonare il maggior numero di album classici possibile durante un solo concerto, gli Iron Maiden per il tour di A Matter of Life And Death suonano tutto l’album nuovo per intero e per quello di The Final Frontier propongono principalmente canzoni degli ultimi dieci anni. Come per dire “noi siamo sempre qui e continuiamo a spaccare il culo!”.

Passano ben cinque anni, Bruce Dickinson sconfigge il cancro ed esce The Book of Souls. Il loro primo doppio album e un disco che la critica incensa in lungo e in largo. Incensamento probabilmente eccessivo quanto le critiche al precedente; per quanto mi riguarda è sì un lavoro splendido, ma nemmeno il migliore post-reunion. Poi vanno in tour e purtroppo non hanno il coraggio di suonare Empire of The Clouds dal vivo. Il mio sogno è: inizio concerto, luci spente, si accende un riflettore puntato sulla parte alta del palco, compare un pianoforte, esce da dietro le quinte Bruce Dickinson in frac, scrocchia le dita e inizia suonare il suo pezzo di diciotto minuti. Nemmeno il “resuscita morti” sarebbe riuscito a rianimarmi dopo una scena del genere.

Nonostante questa mancanza, ho avuto la fortuna di vedere il tour di The Book Of Souls sia nel 2016 a Milano, che nel 2017 a Dublino. A Milano è stato devastante. Il forum di Assago è uno dei posti più sottovalutati d’Italia per i concerti estivi. Aria condizionata, comunque grande, ma allo stesso tempo estremamente più intimo rispetto a una grande arena all’aperto. Pezzi nuovi e pezzi vecchi si alternano con assoluta maestria, fino a quel giorno non li avevo mai visti così in forma. Contiamo che li ho visti diciotto volte in vent’anni, la prima volta nel 1998 con Blaze Bayley.

Poi arriva il 2018, Firenze e il Legacy of The Beast Tour. Ci si aspettava una scaletta principalmente focalizzata sugli anni ottanta e ancora una volta i Maiden sorprendono. Ci sono molti anni ottanta: c’è Flight of Icarus per la prima volta dopo 32 anni, c’è quella bomba di Where Eagles Dare e tanto altro. Ma c’è anche For The Greater Good of God, The Wicker Man e dopo 14 anni i primi pezzi dell’era Blaze The Clansman e The Sing Of The Cross. E poi la prestazione.

Uno dei miei compagni di concerto, con i quali ho festeggiato il ventennale del Virtual XI Tour, disse al termine “ma hai visto come hanno suonato Fear of The Dark??!!”. Ed è tutto lì. Si tratta di un pezzo che quasi non sopporto più da quante volte l’ho sentita, ma l’anno scorso ha tirato giù tutto. L’hanno suonata come se fosse stata la prima volta, sono saliti sul palco come se dovessero spaccare il mondo, con la stessa fame che avevano quando suonavano Prowler a vent’anni.

Non voglio che i Maiden vadano avanti in eterno. O meglio, darei l’anima se potesse accadere, ma piuttosto che vederli come i Deep Purple degli ultimi vent’anni, preferisco un onorevole scioglimento. Voglio che ci regalino un altro disco solo se è quantomeno all’altezza dell’ultimo, voglio che vadano in tour solo se possono essere almeno la metà di quello che sono stati l’anno scorso. Altrimenti li saluto a malincuore e mi tengo i ricordi. Fortunatamente questo giorno non sembra essere in vista.

Bruce è ancora strepitoso, compensa l’ovvio degrado anagrafico della voce con una tecnica spaventosa. Se avesse avuto questa tecnica durante il tour di Piece of Mind sarebbe stato eletto Re del Mondo. Steve, Davey, Adrian, Janick e Nicko continuano a non sbagliare niente. Se uno degli assoli di Hallowed be Thy Name non lo suonasse Gers saremmo tutti più contenti, ma non si può avere tutto. Aggiungiamo che la scenografia è stata la migliore della loro storia e che anche il pubblico mi ha stupito, e abbiamo il concerto perfetto.

In quest’epoca di pit a pagamento mi sono spesso trovato in mezzo a un pubblico veramente scarico. Io pago per il pit perché sono un maledetto borghese e perché non ho voglia di fare file interminabili, di stare pigiato per ore, voglio sconfiggere l’incontinenza e magari vedere qualcosa. Ma voglio il sangue. Peccato che soprattutto ai festival sembri spesso di essere a Riccione. Invece sia al Forum, dove non c’era il pit, che a Firenze nel pit, c’era un clima di violenza degno degli anni novanta e dei primi anni duemila; soprattutto durante Aces High e The Wicker Man. Alcune ragazze che pensavano di essere a un concerto degli U2 sono state giustamente spedite in fondo al pit dopo pochissimi secondi. Per il resto pogo, salti, urla, bolgia, ma sempre con l’estrema correttezza che chiama tutti a fermarsi appena qualcuno cade per terra facendo a gara per tirarlo su prima degli altri. Da commuoversi insomma.

Niente, immagino che questo articolo sia solo nostalgia. Il primo anno dopo tre senza vedere i Maiden dal vivo mi fa essere sdolcinato. Nel 2020 sarà passato un lustro dall’uscita di The Book of Souls e mi aspetto che qualcosa stia bollendo in pentola. Nel frattempo trovate la cassetta allegata con le mie Perle Nascoste. I pezzi che per me meglio rappresentano la magia dei Maiden, ma che o non sono dei singoli o non vengono quasi mai suonati dal vivo. Sicuramente molti di voi riscopriranno delle chicche niente male. Avendone scelto uno per disco e ascoltandoli in ordine cronologico è anche lampante l’inesorabile evoluzione di un gruppo che è già leggenda da oltre trent’anni, ma che non smette mai di sperimentare pur rimanendo sempre fedele a se stesso.

Luca Di Maio

0 0 votes
Article Rating