Tutti ne parlano: benissimo, malissimo. È un capolavoro, JOKER, è un film pericoloso. È un ritratto d’artista, è istigazione alla violenza.

Chi ha ragione? Povero è l’essere umano che cerca di classificare l’opera d’arte: provate a spiegare un quadro di Magritte, e ne uscirete sconfitti.

Invito a rinunciare a recarsi al cinema coloro che si aspettano un pippone in stile DC/Marvel o qualcosa che ricordi anche vagamente quella figata assoluta che è stato Il Cavaliere Oscuro, fuori dagli schemi quel tanto che bastava grazie alla sola presenza di Heath Ledger, ma pur sempre un’elaborazione del fumetto. Dimenticate i paragoni: sono fastidiosi. Non si può circoscrivere un personaggio come il Joker a un compito eseguito bene, male, così così. Non si può dare un voto di confronto, perché in questo gioco di universi paralleli creato sulla sua origine, di Joker ce ne sono uno, nessuno, centomila.

VITA DI UN DISADATTATO

La pellicola di Todd Phillips è una biografia. Arthur Fleck è il vostro vicino. È quello strano individuo che incrociate di rado in ascensore, che vi dà l’idea di non amare tanto la vasca da bagno, che sembra un po’ staccato dalla realtà, che potrebbe essere in potenza sia un malato mentale sia un genio, chi lo sa, tanto non avete la minima intenzione di rivolgergli la parola, anzi, vi inquieta un po’.

Il Joker che Joaquin Phoenix porta sulla scena in modo magistrale è una formica in mezzo ad altre formiche: non avreste alcuna possibilità di distinguerlo da tutto il formicaio se il dito enorme del regista non ve lo indicasse costringendovi a seguirlo in ogni aspetto della sua dolorosa esistenza. Arthur è talmente vero, talmente tangibile, quadrimensionale, che potrebbe uscire dallo schermo (senza per forza vederci una citazione di Videodrome). Per gran parte del film la narrazione sembra quella che Williams fa di Stoner: destinata a una linea retta, piatta, verso una morte anonima e sciatta. Se non si stesse parlando di uno degli antagonisti più duri e puri di Batman, certo.

Ma questa umanità vera, sporca, profonda, drammatica eppure così banale e comune è la cifra che per paradosso rende speciale il film. Phillips narra una storia tra le tante, facendoci entrare nella testa di Arthur, rendendoci complici e partecipi emotivamente della sua follia, una follia – attenzione – non congenita, bensì ereditata dai legami creati crescendo in una famiglia disfunzionale e inadatta, che cannibalizza la sua natura e la distorce rendendogli impossibile l’inserimento nel tessuto sociale.

Chiave interpretativa di questo concetto è a mio parere la danza surreale di Joker, espressione di un’interiorità che ha bisogno di essere accordata come un pianoforte; che ricerca la bellezza nella fantasia, perché non è in grado di percepirla né tantomeno riceverla nella realtà. Che è sintomo di un disagio ineffabile, un rigurgito che non trova via di sfogo. Per chi se lo stesse chiedendo, ché lo so che ci state pensando, il brano che accompagna la leggendaria scena sulla scalinata è “Rock and Roll Part 2” di Gary Glitter. Spotifyatelo a manetta.

IL LIBERO ARBITRIO COME TEMA TRA LE RIGHE

Una biografia, si diceva, ma anche un film sul libero arbitrio. Facile immedesimarsi, e farsi domande importanti durante la visione del film: “e se fossi al suo posto? Se tutto questo fosse capitato a me, io, che cosa avrei fatto?” Il confine tra bene e male è sempre molto sottile e non è sufficiente giustificare le scelte che facciamo nella nostra vita con il dolore che abbiamo provato nel corso della stessa. In questo dualismo universale si dipana la dualità di Arthur Fleck e Bruce Waine, più simili di quel che può sembrare, ma opposti non per natura, bensì per via della scelta che fanno di fronte al dolore.

OSCAR SÌ O OSCAR NO?

Per me JOKER è una pellicola scritta bene, girata bene, interpretata ancora meglio. Non so se sia il caso di gridare al capolavoro di tutti i tempi, ma di certo l’ho apprezzato molto.

C’è una sorta di bellezza in questo film crudo, vero, umano fino alla nausea e perturbante. La coglie l’occhio interiore che ci ha dotati della capacità di credere nell’arte, e nel suo scomodo ruolo di specchio della nostra realtà. Saremo in grado di sopportarne la rivelazione?

Buona visione.

Erika Muscarella

E ora dritti alle altre letture:

Sara Capoferri con Se Ridi Se Piangi

Giada Destro con La Solitudine del riso

Luca Di Maio con Joker e l’inutile lotta contro il sistema

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