Myles Kennedy è sicuramente una delle voci che ha segnato il rock del ventunesimo secolo; che piaccia o meno il suo timbro, è uno dei pochi che si riconosce al volo, ed è uno dei pochi che potrebbe arrivare lassù, nell’olimpo, coi grandi. Dico potrebbe perché negli ultimi anni sembra che si sia un po’ addormentato senza una motivazione apparente. Solo nel 2018 sono usciti tre dischi importanti come l’ennesimo album dal vivo degli Alter Bridge, il suo primo lavoro solista Year Of The Tiger e l’ultimo capitolo della sua collaborazione con Slash Living the Dream. Oggi cerchiamo di capire da dove è partito e cosa gli sta succedendo.

Myles Bass (Kennedy è il cognome del suo patrigno, poi adottato dalla famiglia) nasce a Boston nel 1969, ha iniziato suonando tromba e chitarra da ragazzo e nel ’90 entra nel gruppo jazz Cosmic Dust come chitarrista dimostrando a quanto pare un’abilità fuori dal comune. Nel ’92 forma i Citizen Swing e al ruolo di chitarrista si aggiunge quello di cantante, e qui comincia veramente la nostra storia.

Ho recuperato dal buon YouTube (purtroppo non ci sono su Spotify, ma qui di fianco trovate comunque due regalini solo da cliccare) i due dischi dei Citizen Swing e dalle prime note di Cure Me With the Groove, 1993, con un Myles già ventiquattrenne, sono lampanti le sue dichiaratissime influenze soul: da Marvin Gaye a Stevie Wonder. Qua c’è poco rock, è un disco tra il soul e il jazz con venature pop/rock che avrebbe potuto tranquillamente ospitare una voce nera. Probabilmente al tempo non si notava tanto, ma col senno di poi si sente anche un po’ di Robert Plant.

Il secondo disco Deep Down mi ha stupito davvero. Lo stupore viene dal fatto che nel 2015 di supporto ai Foo Fighters vidi Trombone Shorty e rimasi devastato dall’impatto sonoro di questo combo New Orleans jazz / rock. Pesantissimi, voce nera, tromba jazz e imponente presenza scenica. Beh, i Citizen Swing facevano la stessa roba quando Trombone Shorty aveva 10 anni. E qui Myles vola. E’ già chiaro che siamo di fronte ad un cantante di un’altra caratura: alti, bassi, grande modulazione, groove, ha tutto. Ci aggiungiamo poi anche un gran manico con la chitarra e ci chiediamo perché nessuno lo conoscesse ancora. Purtroppo l’avventura Citizen Swing termina qui e si passa ai Mayfield Four.

Il suo primo approccio con il rock puro (leggete “rock alternativo americano”) arriva quindi nel ’97 con un EP, seguito da due album nel ’98 e nel 2001. Qua finalmente incanala Robert Plant in pieno. Le sue influenze Zeppeliniane escono fuori tutte, ma sono sempre ammorbidite da quella vena soul nera che pochissimi bianchi possiedono. Musicalmente i Mayfield Four non fanno nulla di particolarmente originale, ma riascoltandoli adesso devo dire che avrebbero meritato più fortuna, soprattutto in un momento storico in cui i Creed erano una delle forze più imponenti del genere avrebbero decisamente potuto dire la loro.(i pezzi che ho messo nella cassetta suonano davvero freschi ancora oggi).

In ogni caso Myles continua a crescere e sperimentare, tanto che subito dopo lo scioglimento dei Mayfield Four arriva un’offerta irrinunciabile: Slash gli chiede di diventare il cantante della sua nuova band, che si materializzerà poi nei Velvet Revolver. Myles rifiuta. Ancora oggi non sono chiare le dinamiche, ma fortunatamente per Myles pare si sia rivelata la scelta giusta in quanto pochi mesi dopo gli ex Creed Mark Tremonti e soci gli offrono di entrare nel loro nuovo progetto denominato Alter Bridge.

Con loro arriva finalmente la fama. Il primo disco è poca cosa a livello compositivo, ma vocalmente Myles riesce a dimostrare a tutti cosa sa fare. Prende quanto imparato coi Mayfield Four e lo porta al grande pubblico passando da ballate strappamutande a pezzi che finiscono per essere l’intro di uno dei wrestler più popolari del momento; il tutto interpretato con un grande bilanciamento tra cuore e incazzatura. Il secondo album Blackbird contiene quello che è semplicemente il miglior pezzo hard rock del ventunesimo secolo (Blackbird chiaramente, smentitemi se ci riuscite) e un’altra prestazione di altissimo livello. Segue ABIII, disco controverso, ma che ancora una volta ci porta un Myles Kennedy strepitoso. Probabilmente aiutato dai personalissimi testi da lui scritti, è forse la sua migliore interpretazione in assoluto dall’inizio alla fine: qua spesso abbassa anche il registro per poi esplodere nelle sue tipiche e distintive note alte con una convinzione che pochi altri possono dire di avere.

Durante i primi anni di Alter Bridge succede una di quelle cose che succedono solo nei film (e guarda caso proprio Myles interpreta il fan più fortunato del mondo nel film Rock Star): Jimmy Page, John Paul Jones e Jason Bonham lo invitano a provare con loro per una presunta nuova incarnazione dei Led Zeppelin. Dopo l’incredibile concerto del 2007 solo Robert Plant non voleva saperne, mentre tutti gli altri avrebbero fatto carte false per riformare il dirigibile, quindi ecco Myles Kennedy. I quattro provano, scrivono musica assieme, forse incidono anche qualcosa, pare per un progetto che non doveva chiamarsi Led Zeppelin (forse), ma purtroppo non ne esce niente. Onestamente, senza finire sul ridicolo pensando ai Greta Van Fleet, non mi viene in mente nessun altro che avrebbe potuto ricoprire quel ruolo. Una voce assolutamente non uguale a quella di Plant, ma capace di fare tutto quello che faceva lui con una personalità propria ben identificabile. Io sarei stato curioso, magari prima o poi quelle registrazioni salteranno fuori.

Nel 2010 invece accade quello che doveva accadere nel 2002, ovvero inizia la sua fortunatissima collaborazione con Slash. Prima con due canzoni sul primo album solista (le trovate entrambe in cassetta, prestazione davvero sopra le righe, prevedibilmente con un gran lavoro sugli alti), poi come cantante per la band dal vivo e infine a partire dal 2012 anche come unica voce sui tre dischi solisti successivi. Con Slash dà una lezione di canto al buon ciccio bombo Axl Rose. Ascoltatevi Rocket Queen e Civil War (nella cassetta) per capire che personalità e che voce porta a questi grandissimi pezzi, spesso massacrati da un cantato assolutamente non all’altezza (e non parlo solo dell’Axl di adesso, prendete qualsiasi video anche degli anni d’oro e se non siete dotati di paraocchi capirete bene quello che dico).

Tutto meraviglioso, ma proprio negli ultimi cinque anni noto che qualcosa inizia a rompersi. Gli Alter Bridge sfornano Fortress e The Last Hero, mentre Slash Apocalyptic Love, Wolrd on Fire e l’ultimo Living The Dream. I dischi degli Alter Bridge sono piuttosto deludenti e anche Myles sembra fare abbastanza il compitino (ci sono eccezioni come Cry of Achilles per esempio); quelli di Slash sono altalenanti (World on Fire è una bomba, gli altri più dimenticabili), ma anche qui Myles annoia un po’. Non che canti male per carità, la voce è sempre lei, ma il suo dinamismo è cambiato. Se ascolti i pezzi un po’ di sfuggita si sente spesso un po’ una lagna indistinta, mancano la personalità e il coinvolgimento dei giorni migliori. Quantomeno mancano sulla distanza.

La prova del nove, a parte le sempre strepitose esibizioni dal vivo, è il suo primo disco solista Year of The Tiger. Lavoro qualitativamente incostante, ma che vocalmente non si discute. I due pezzi che abbiamo messo in cassetta sono emozionanti quanto Blackbird e si sente davvero tutta la sua anima come non si sentiva da ABIII. Purtroppo non sono riuscito a vederlo dal vivo quest’estate, ma qua di fianco trovate la sua cover di The Trooper dei Maiden che dice tutto da sola.

In conclusione ritengo che Myles debba cambiare aria. Lasciare gli Alter Bridge, lasciare Slash e inventarsi qualcos’altro. Continuare da solo, riprendere in mano i quasi Zeppelin, formare un gruppo Post Rock o fare qualsiasi cosa di diverso da quello che sta facendo. E’ chiaro che dopo due o tre album si stanca, e noi vogliamo sentirlo sempre al massimo. Vogliamo la spensieratezza dei Citizen Swing, la freschezza dei Mayfield Four, la maturità dei primi Alter Bridge e la sfrontatezza del primo Slash, ma in realtà vogliamo qualcosa di diverso, vogliamo semplicemente che la sua voce non venga sprecata perché i patrimoni dell’umanità non si possono sprecare. No, proprio non si può.

Luca Di Maio

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