Il nuovo disco di Caparezza è bello.
Cominciamo da qui. Musicalmente ricercato, nuove sonorità, a volte cupe, testi intimi a volte tetri, perfino la sua voce è più moderata e meno caricaturale del solito: insomma disco molto diverso dai precedenti sette album, ammettiamo.
Il 7 maggio è uscito Exuvia, diciannove tracce, sessanta minuti da ascoltare con il volume a palla e facendo attenzione alle parole pronunciate dal rapper pugliese che a volte sono taglienti, a volte tristi, a volte speranzose.
Exuvia è titolo azzeccatissimo: è ciò che resta del corpo di alcuni insetti dopo la metamorfosi che subiscono durante la loro crescita, una sorta di perfetto sarcofago che è l’unica traccia che resta della forma appena lasciata.
Il cambiamento c’è eccome in questo disco, ed è sottolineato in maniera netta: “in fuga dal mio disco precedente” rappa lo stesso Caparezza.
Lui è una spanna sopra tutti i rapper italiani, non ci sono cazzi e vi assicuro che dal vivo è una bomba pazzesca; bravissimo e coinvolgente anche solo a guardargli quei capelloni che si agitano senza sosta. Si è sempre distinto per la diversità del modo di fare rap, non si è mai omologato al flow standard del genere e la differenza la si nota ancor di più in questa epoca in cui il rap è la musica più gettonata; fatta da chiunque pensi che basti scrivere due barre in rima per fare rap.
Questo disco arriva dopo quattro anni da Prisoner 709 ed è frutto di una meditazione sulla sua vita artistica e personale, è concentrato sulla mutazione, sul cambiamento: “guardo i video che ho fatto, ho la voce e l’aspetto di un altro”.
Insomma è proprio un disco autobiografico, senza se e senza ma.
“Ho capito che il secondo album era più facile dell’ottavo / Tipi che mi chiedono del tunnel / dammi una pala che me lo scavo / dicono che vengo dalla luna ma la mia casa è un sotterraneo”.
So che sto citando spesso i suoi testi, ma prima di tutto trovo che leggendoli si possa meglio comprendere il senso del disco e poi quando si tratta di rap le parole sono ancora più importanti ed è un bene sottolinearle. Capita anzi troppo spesso di non dare alle parole la giusta importanza. I testi di Exuvia sono molto curati non solo tecnicamente, ma anche dal punto di vista linguistico; la prima cosa che si nota però è la fortissima emotività di cui sono impregnate.
Le sonorità sono diverse, più sofisticate, con punte di elettronica, spinte di dub, spizzichi e bocconi di rock e psichedelia: non è quindi la solita insalata rap e anche la musica acquista un ruolo centrale esattamente come le parole.
Le diciannove tracce hanno un ordine preciso che racconta il rifiuto di rimanere attaccato al passato, la fatica di accettarlo e la scelta di sterzare verso una diversa direzione fino ad arrivare alla liberazione che avviene con l’accettazione del passato e soprattutto con il cambiamento.
Nel disco ci sono molti riferimenti alla musica, al cinema e alla letteratura, e un preciso citare Mark Hollis dei Talk Talk; artista geniale che a un certo punto ha deciso di abbandonare le scene pubbliche per dedicarsi alla musica ma in forma assai privata.
Insomma, Exuvia è una sorta di viaggio assai complesso che porta alla consapevolezza di ciò che è stato e che non tornerà più; che si conclude con la titletrack che descrive perfettamente il senso di libertà che si prova quando si capisce chi siamo e cosa vogliamo fare accettando ciò che abbiamo fatto:
“Fuori di me, Exuvia / spiego le ali, au revoir”.
MaRo