Sono passati ormai quasi due anni dall’uscita dell’ultimo film di Woody Allen, un’eternità per chi era abituato a ricevere la puntualissima dose annuale. Per ingannare l’attesa mi sono regalato un’imponente retrospettiva riuscendo anche a recuperare qualche film “minore” che avevo colpevolmente ignorato nel corso degli anni. Ora li ho visti tutti, 50 film “scritti e diretti”, più un paio solo “scritti”. Una produzione sterminata che si potrebbe analizzare sotto centinaia di aspetti diversi, oggi ho scelto di parlare delle sue donne.

Non è un argomento casuale, dato che l’origine di tutti i suoi problemi di questi ultimi anni è proprio da ricercarsi nell’esplosione di tutti i movimenti femministi-hollywoodiani e nella loro rinnovata attenzione verso alcune accuse mosse verso di lui ormai quasi trent’anni fa. Ne ho già parlato altrove, quindi non mi dilungo, ma trovo tutto molto curioso in quanto ritengo che Woody Allen sia uno dei registi capaci di rappresentare con maggiore credibilità e continuità delle vere donne. Senza compromessi. Ci porta delle intellettuali, delle svampite, delle femme fatale, delle donne in carriera, delle casalinghe, delle eterne bambine, e lo fa sempre con un incredibile rispetto nei loro confronti. Non si fossilizza su degli stereotipi precisi e non scade mai nel ruffiano. A suo modo è spietato, sia nel bene che nel male.

Prima di andare banalmente in ordine cronologico porto un paio di esempi. La Marion di Gena Rowlands in Another Woman è forse il personaggio femminile meglio scolpito dalla penna del regista di Brooklyn. Una professoressa di filosofia cinquantenne che scopre lentamente di avere un’idea completamente distorta riguardo la percezione che le altre persone hanno di lei; tutte le sue certezze si infrangono e le crolla il mondo addosso. È un ruolo forte e vulnerabile allo stesso tempo, scritto e raccontato con una maestria fuori dal comune e interpretato altrettanto magistralmente. Si tratta senza dubbio del film più sottovalutato di tutta la sua produzione.

Diametralmente opposta è la Supermodel di Charlize Theron nell’altra perla nascosta che è Celebrity. Il suo ruolo è marginale, ma rimane impresso per l’incredibile sensualità che riesce a trasmettere. Il personaggio è in questo caso il più banale degli stereotipi della modella all’inseguimento di fama e denaro, e Woody la ritrae in modo spietato. Il bellissimo bianco e nero di Sven Nykvist la trasforma in una diva degli anni ’40 soprattutto nella devastante camminata finale. Il suo ruolo segna anche un’importante svolta nei personaggi femminili di Allen, ma ci arriveremo con calma.

Analizzando la sua filmografia dal principio realizziamo che fino all’implosione della relazione con Mia Farrow, i film di Woody Allen sono stati dominati dalle sue compagne del tempo. Nei primi due abbiamo la seconda moglie Louise Lasser, poi Diane Keaton e infine Mia Farrow stessa. Nei film più corali spiccano anche altre figure, come la madre in Interiors, le sorelle di Hannah nel relativo film o le mogli di Husbands and Wives.

La Lasser e Diane Keaton fino a Love and Death erano di fatto la spalla comica di Woody; non si tratta di veri personaggi definiti, come in realtà non erano nemmeno i vari alter ego del regista. La bellezza della Keaton ventiseienne in Sleeper colpisce subito, ma Allen non spinge in quella direzione, non la valorizza deliberatamente puntando piuttosto sul suo talento comico. Con Annie Hall invece cambia tutto. Non solo per le donne e per Diane Keaton, ma per Woody Allen in generale.

È il suo primo film serio. Il primo in cui non vuole solamente far ridere, ma prova, con grandissimo successo, a espandere la parte psicologica e filosofica solamente accennata in alcuni dialoghi di Love and Death. Il risultato è il suo film più istantaneamente riconoscibile che gli regala eterna fama mondiale e i suoi primi Oscar. Il ritratto di Annie è semplicemente perfetto. Si tratta di un personaggio complesso, complicato e irriverente. È piena di idiosincrasie proprio come i vari archetipi di Allen, è una persona vera, credibile, realistica e la Keaton lo interpreta con quell’incredibile naturalezza che l’ha sempre contraddistinta.

Con Interiors Allen omaggia Bergman e ci regala altre donne complesse e interessanti, realizza lo stesso con Manhattan e grazie alla relazione del suo personaggio con la diciassettenne Tracy riesce anche un po’ a sconvolgerci. Il collegamento a quanto successo una decina di anni dopo con Soon-Yi Previn è inevitabile, ma chiaramente forzato per ovvie ragioni cronologiche. Si dice anche che Tracy possa essere basata su altre coetanee che sono entrate nella vita del regista negli anni precedenti, ma lui ha sempre negato alcun elemento autobiografico all’interno dei suoi film (affermazione di dubbia solidità in quanto esistono alcuni esempi dove questo è lampante). Anche Stardust Memories ci consegna delle tracce autobiografiche mai confermate, oltre che altri tre esempi di donne vere a rappresentare i diversi aspetti dell’universo femminile.

È poi con la prima apparizione di Mia Farrow in A Midsummer Night’s Sex Comedy che comincia un leggero ristagno dei personaggi femminili nei suoi film. Non condivido l’opinione di Allen secondo il quale Mia Farrow sarebbe una bravissima attrice capace di figurare bene in ogni genere; in quanto a parte qualche sporadica eccezione le sue interpretazioni tendono a replicarsi con una tragica costanza. Abbiamo quasi sempre questa donna sofferente, passivo-aggressiva, triste e apparentemente asservita anche quando è lampante che il personaggio fosse stato scritto diversamente. Ne è una prova abbastanza chiara Manhattan Murder Mystery, nel quale la Farrow fu sostituita da Diane Keaton a causa dello scoppio del famoso scandalo, e la grandissima classe della Keaton ci restituisce un personaggio brillante che sarebbe stato certamente soffocato da Mia Farrow.

È visibilmente diversa in Broadway Danny Rose, ma non mi risulta mai realmente credibile, è piuttosto una macchietta, una pallida caricatura. Brilla invece in The Purple Rose of Cairo, ma lo fa semplicemente perché il personaggio di Cecilia è la vera quintessenza del suo stile recitativo.

Purtroppo questo decennio di Mia Farrow ha avuto un impatto piuttosto negativo sullo sviluppo delle donne nei film di Allen, le già citate eccezioni nei film corali e in Another Woman riescono comunque a regalarci dei bellissimi ritratti, ma avere avuto Mia come protagonista in così tante pellicole ha indubbiamente limitato la percezione della profondità dei vari personaggi. Non riesco a non pensare che Alice sarebbe potuto essere qualcosa di assolutamente superiore con Diane Keaton o con Dianne Wiest.

Finalmente Woody si libera di Mia Farrow, si sposa con Soon-Yi e di lì a poco cambia tutto. Proprio con il già citato Celebrity la sensualità entra di prepotenza nei suoi film e nei ritratti delle sue donne per non uscirne mai più. Non è solo la psicologia a cambiare, ma anche il modo di mostrarle e valorizzarle. Christina Ricci in Anything Else è disarmante, per non parlare di Scarlett Johansson in Match Point, di Penelope Cruz in Vicky Christina Barcelona e anche di Kristen Stewart nel deludentissimo Cafè Society.

Da un punto di vista interiore le donne rimangono definite alla perfezione attraverso un ampissimo spettro di ruoli e psicologie, sempre più ampio rispetto a quanto visto negli anni settanta e ottanta. La differenza più marcata la andiamo però a ritrovare in un Woody Allen che diventa improvvisamente più coraggioso da un punto di vista visivo. Non si vergogna di mostrarci queste donne in tutto il loro splendore e lo fa con delle inquadrature che sembrano regolarmente delle fotografie d’autore. Questo non in tutti i film, lo fa quando il personaggio lo richiede. Non c’è particolare sensualità nella Cate Blanchett di Blue Jasmine, non avrebbe senso, e anche per questo diventa uno dei suoi ritratti più realistici e meglio riusciti di una donna in totale crisi esistenziale. Infatti oltre alla sensualità, l’Allen degli ultimi venticinque anni è riuscito a fornire nuove dimensioni psicologiche alle sue donne, sia grazie alla scelta di attrici specifiche per ruoli specifici, che grazie a una sua visione evidentemente più ad ampio spettro rispetto alla decade precedente.

Mi piace pensare che, contro tutto e tutti, Woody abbia finalmente trovato il suo posto nel mondo proprio grazie a Soon-Yi. Per lei ha iniziato a girare il mondo nonostante avesse sempre odiato farlo. Grazie a lei ha trovato una stabilità sentimentale che non aveva mai avuto. E proprio durante questo periodo è riuscito a valorizzare le donne in modi che prima lo mettevano probabilmente in grande soggezione. Con Match Point ha trovato la sua prima soddisfazione totale nella realizzazione di un film drammatico, e nonostante i rinnovati problemi con il buonismo Hollywoodiano, riesce a sfornare praticamente un film all’anno mantenendone il totale controllo creativo a ottantatré anni suonati. Io lo invidio, non so voi.

Luca Di Maio

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