Colgo l’occasione dell’uscita del nuovo disco di Ligabue Start per parlarvi un po’ di lui, dei suoi luminosi esordi, e della sua tragica fine. Per poi cercare di capire come un artista possa partire come una delle più grandi promesse del rock nostrano e finire dopo pochi anni a essere semplicemente una sorta di Fabio Volo del rock. Ma andiamo con ordine, cominciamo da Start e perdonatemi il gioco di parole cross-linguistico.

Onestamente se non avessi avuto voglia di scrivere qualcosa sul primo Ligabue, di Start non avrei nemmeno parlato. A noi MangiaCassette non piace parlare della mediocrità, non per snobismo, ma perché è piena la rete di siti che parlato di tutto, noi selezioniamo. Parliamo generalmente o di grandi cose o di grandi delusioni, qualcosa di così insipido come Start sarebbe stato rapidissimamente archiviato come dimenticabile.

Esatto, ho detto che è solamente insipido, non disastroso. Anzi, alla fine entro certi limiti ne sono positivamente sorpreso. Non è così universalmente moscio come Made in Italy e i precedenti, ma ha qualche sussulto. Gli arrangiamenti e la produzione firmata Claudio Maioli sono assolutamente di tutto rispetto. A livello compositivo i pezzi sono poca cosa, ma musicalmente risultano molto meglio di quello che sarebbero stati nudi e crudi.

C’è il pezzo ruffiano per le donne (che sono senza dubbio la sua vera base di fan, inspiegabilmente), ci sono tanti, troppi, pezzi che parlano di amore in modo piuttosto banale, ci sono le canzoni compagnone nostalgiche e c’è anche un auto-plagio di Urlando Contro il Cielo, c’è un po’ tutto. C’è anche La Cattiva Compagnia, il suo pezzo migliore da oltre vent’anni.

Tutto sommato pensavo peggio. Pensavo peggio perché il vero Ligabue per quanto mi riguarda muore a metà di Buon Compleanno Elvis e dopo quel disco ci ha abituati a porcherie ben peggiori di Start. Mi ricordo come se fosse ieri un commento fatto da mio padre mentre lo obbligavo ad ascoltarlo in macchina nel lontano ‘96 “boh, o uno ascolta del rock vero, oppure dei cantautori con dei bei testi, non questo qua spompato che parla del gillet di Dio“. Inutile dire che al tempo mi risentii dell’affermazione perché non potevo capirla, ma per una qualche ragione non l’ho mai dimenticata e ora posso dire che mai cosa più vera fu detta riguardo la sua produzione.

A partire dal ‘95 la descrizione di mio padre inizia a diventare perfetta. Infatti per quanto io consideri Vasco Rossi uno dei più grandi mali del rock italiano, almeno lui non ha troppe pretese intellettuali. Vasco è quello che è. È “La la la la la la la Fammi godere”, è “Ti voglio bene non l’hai mica capito”, poi potete dirmi che è il poeta di una generazione, ma non ha reali pretese cantautorali, è semplicemente Vasco. Ligabue invece si sente contemporaneamente sia un dio del rock, che De Andrè; riuscendo peraltro piuttosto male in entrambe le cose. Infatti se escludiamo i primi dischi è proprio come diceva mio padre: musicalmente irrilevante e liricamente profondo quanto un libro di Fabio Volo. Sotto la crosta, niente.

Appunto, i primi dischi. Trovate allegata una cassetta con la mia personalissima selezione che parte dal primo album e arriva appena a scavallare Buon Compleanno Elvis grazie a Il Giorno di Dolore che uno ha, inclusa nel disco dal vivo successivo. Il livello è piuttosto alto e per quanto mi riguarda l’apice della sintesi di rock/cantautorato è stata raggiunta su Lambrusco coltelli rose & pop corn e su Sopravvissuti e Sopravviventi, per poi andare calando progressivamente fino a oggi.

Il primo disco Ligabue contiene alcuni tra i suoi pezzi più popolari, comunque di grande qualità, e anche qualche chicca imperdibile come Bambolina e Barracuda: un pezzo più parlato che cantato, con un pianoforte inquietante che accompagna una storia di suspense davvero ben riuscita. Anche Marlon Brando è Sempre Lui e Balliamo sul Mondo per quanto più commerciali, riescono bene a bilanciare il rock popolare e i temi dell’uomo della strada come il Liga farà anche meglio successivamente. Quello che colpisce di quest’album sono i sapienti arrangiamenti soprattutto per le parti di chitarra e piano che riportano al rock’n’roll anni ‘50/’60 aggiornato all’Italiana.

Lambrusco coltelli rose & pop corn è già la maturazione artistica di Luciano Ligabue. Sempre accompagnato dai Clan Destino contiene veri pezzi rock, ballate pop, blues, fantascienza, poesia e tanto altro. Contiene anche Libera Nos a Malo, la canzone che mi folgorò alle tenere età di otto anni con il suo attacco che mi sembrò la cosa più rock mai scritta. Possiamo ascoltare anche Camera con Vista sul Deserto, un pezzo che a otto anni odiavo, ma che adesso ritengo uno dei migliori della sua discografia: testo bellissimo e arrangiamento curatissimo. Lo stesso vale per Sarà un Bel Souvenir e svariate altre. Una menzione particolare la merita la parte vocale in quanto il Liga è spesso ridicolizzato per il suo cantato quasi biascicato, ma se andiamo ad ascoltare questo disco, soprattutto nei pezzi descritti sopra, notiamo una prestazione canora di altissimo profilo sia tecnico che emotivo.

Due anni dopo arriva una gemma nascosta, un flop commerciale che ha poi determinato il cambio rotta dell’uomo di Correggio, ma che riascoltato oggi è attuale e importante come ieri, ovvero Sopravvissuti e Sopravviventi. A parte la ballatona Ho Messo Via non rimane quasi più traccia di questa canzoni anche tra i suoi sostenitori più sfegatati, ma è un vero peccato in quanto troviamo una perla dopo l’altra. C’è il rock di Ancora in Piedi, c’è l’hard rock quasi metal di Dove Fermano i Treni e Lo Zoo è Qui, la poesia di Walter il Mago e La Ballerina del Carillon e la nuova Bambolina e Barracuda con I Duri hanno due Cuori.

Dove Fermano i Treni è la sintesi del vero Ligabue: disagio sociale scritto bene sia liricamente che musicalmente, rock duro che sfocia quasi nell’heavy metal e tanta tanta concretezza. Walter il Mago è invece un pezzo emozionante che racconta una storia ermetica e toccante, ho anche avuto la fortuna di sentirlo dal vivo l’unica volta che lo vidi in concerto un sacco di anni fa.

Passa solo un anno e A che ora è la fine del mondo? è un disco di transizione. Interrotta la collaborazione con i Clan Destino, Ligabue lavora con vari musicisti su quello che è più un EP che un vero e proprio LP. Contiene la famosissima cover di It’s the End of the World as We Know It (And I Feel Fine) dei R.E.M. con testo trasformato in una satira sulla società contemporanea. Buona parte degli altri pezzi sono tra gli ultimi sussulti puramente rock della sua discografia.

La chiave per capire quello che succederà dopo sono proprio i flop di Sopravvissuti e Sopravviventi e di A che ora è la fine del mondo?. Durante il terzo Campovolo Ligabue dirà “Ho fatto degli scivoloni in carriera. Il più clamoroso fu il terzo album: sembrava che la mia carriera fosse finita“. Il problema è che il terzo album è palesemente il più vero e sincero della sua discografia. È cupo, violento, incazzato, e molto rock. Ma non vendeva. Probabilmente se avesse continuato per quella strada la sua carriera sarebbe davvero finita, o meglio, non sarebbero arrivati i miliardi. Avrebbe potuto continuare a suonare di fronte a poche centinaia di persone facendo quello che amava, ma evidentemente non era quello che voleva, e arriva la svolta.

Arriva nella forma di Buon Compleanno Elvis, e con lei il successo planetario e l’inizio della fine. Comincia il sodalizio con La Banda, la produzione di Fabrizio Barbacci e il Fabio Volismo. Ci sono ancora delle buone canzoni, c’è ancora un po’ di rock e qualche testo ispirato, come Vivo Morto o X o Un figlio di nome Elvis, ma le semplificazioni sono evidenti. La rabbia è andata via, sostituita da un grande imborghesimento evidenziato da questa strana saggezza popolare supponente. Tutto quello che dice suona straordinariamente come una verità assoluta. Questo cambio di rotta si è rivelato un grandissimo successo e lo ha trasformato in una sorta di profeta della Generazione X italiana. Musicalmente l’ammorbidimento è lampante, ma lo è anche la notevole diminuzione della qualità degli arrangiamenti. Il tutto è molto più pop e molto più basilare.

Da qui, in picchiata. Il rock è solo un ricordo, le esibizioni dal vivo si fanno sempre più stentate, anche se sempre più mastodontiche, e i temi non sono più quelli di un tempo. I dischi successivi non sono nemmeno l’ombra di quello che erano i primi tre. La crosta si è fatta sottile da un punto di vista musicale e anche sotto non c’è proprio niente: metafore banali, pezzi ruffiani e operazioni nostalgia hanno preso il posto della feroce critica sociale multilivello, riuscendo nell’abile operazione di farli sembrare testi profondissimi, quando in realtà solo pochissime volte riescono a cogliere il segno.

Tornando a oggi, confermo che da un punto di vista strettamente artistico, la carriera di Ligabue dal ’95 a oggi è una vera e propria occasione sprecata. Poteva essere la risposta Italiana di qualità a nomi anglofoni ben più blasonati, ma è velocemente diventato un fenomeno di massa, ha fatto i miliardi, scritto libri e diretto film di successo, ma alla fine è solo il Fabio Volo del rock. Contento lui.

Luca Di Maio

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