Su …Where the Groupies Killed the Blues dei Lucifer’s Friend c’è tutto. Ma tutto cosa? TUTTO. E non me ne capacito. Dopo decine di ascolti non riesco a capire. Non riesco a capire come un disco del 1972 possa essere così sconosciuto e allo stesso tempo contenere tutto il necessario per essere l’opera della vita.
Conoscevo i Lucifer’s Friend da tempo in quanto primo gruppo di John Lawton, cantante che andò poi a sostituire David Byron negli Uriah Heep. Li conoscevo, ma non li conoscevo. Non li avevo mai approfonditi, poi qualche mese ebbi la fortuna di vedere un’intervista al cantante degli Opeth Mikael Akerfeldt. Mikael considera …Where the Groupies Killed the Blues un disco fondamentale per la storia del metal e anche lui dopo anni di ascolti non lo capisce. E ci credo.
…Where the Groupies Killed the Blues è classic rock, proto-metal, progressive rock, proto-doom, jazz fusion, post-psichedelia, Kraut Rock, appunto, tutto. Il piano è l’asse portante del disco, certo, le chitarre sono pesanti e quasi doom, la voce di Lawton è impressionante e la batteria martellante, ma il piano, sempre lì, sotto qualsiasi cosa, è forse l’elemento che più differenzia questo disco da tutte le uscite del periodo e dal resto della discografia del gruppo.
I sei anni dal 1969 al 1974 sono senza ombra di dubbio i più prolifici nella storia del rock a tutto tondo. Non ammetto alcuna replica a riguardo. E proprio lì, in mezzo ai capolavori immortali di Led Zeppelin, Black Sabbath, Uriah Heep, King Crimson, Deep Purple, Wishbone Ash, Jethro Tull e tantissimi altri, i Lucifer’s Friend riescono nell’impresa di realizzare un disco diverso da tutto il resto senza che nessuno lo ascolti.
Tornando appunto al pianoforte, i Sabbath avevano i riff di Iommi, i Purple l’organo di Lord, i Tull non lo dico nemmeno, i Led Zeppelin la batteria di John Bonham, i Wishbone Ash le chitarre gemelle e i Lucifer’s Friend il piano di Peter Hecht. Il nome sembra tedesco? Lo è. John Lawton è l’unico inglese infiltrato in un gruppo tedesco che fino all’anno precedente si chiamava Asterix. Come Asterix hanno prodotto un disco tra il rock’n’roll e la psichedelia, per poi cambiare nome e arrivare con Lucifer’s Friend e del proto doom/rock al sapore di pianoforte.
Il debutto eponimo è un Black Sabbath sotto steroidi; uscito pochissimi mesi dopo il primo disco di Iommi e soci non sfigura di certo al suo cospetto. John Lawton non ha nulla da invidiare a tanti cantanti più blasonati, anzi, la sua voce è molto più piena e blues rispetto ai suoi contemporanei più famosi, ma allo stesso tempo non esita a toccare vette altissime. Come tutto il gruppo meriterebbe di certo più notorietà, che purtroppo non arriva nemmeno con il passaggio agli Uriah Heep, complice l’impossibilità di sostituire qualcuno come David Byron.
Con …Where the Groupies Killed the Blues ci propongono il loro disco più sperimentale. Hobo è un pezzo classicamente hard rock, sicuramente notevole, ma non lascia ancora presagire quello che arriverà. Seguono Rose on the Vine e Mother e… ci siamo! L’incomunicabilità di quello che si ascolta è facilmente esemplificata da queste due canzoni. Elementi progressive mutuati da King Crimson e Yes si alternano a sezioni hard rock, stacchi jazz, chitarre doom, ma con una spruzzata di funky, e una voce che non sfigurerebbe al cospetto di Ronnie James Dio.
Il disco continua sotto il segno del classic rock con la titletrack e con Prince of Darkness. Il basso di Dieter Horns non è da sottovalutare così come la batteria di Joachim Rietenbach, ma su questi pezzi esce sicuramente allo scoperto il compositore principale Peter Hesslein con la sua chitarra, oltre all’unico fulminante assolo di organo. Arriva Summerdream e ce ne possiamo andare tutti a casa. Questa non ve la spiego, non ce la faccio, nessuno potrebbe, è forse l’apice compositivo del periodo? Sicuramente è uno dei pezzi più originali. Burning Ships chiude un po’ in anticlimax rispetto al capolavoro che la precede, ma con il senno di poi è un buon indizio riguardo quale sarà il prossimo gruppo di John Lawton.
Prima che il cantante cambi casacca abbiamo modo di ascoltare altri tre album del gruppo, e la cosa continua a confonderci. I’m Just a Rock’n’Roll Singer torna indietro addirittura rispetto al debutto spogliando il gruppo di buona parte degli elementi jazz, progressivi e doom. È un disco rock semplice e diretto, un punto interrogativo. Nel ’74 arriva Banquet e rinunciamo definitivamente a capirli. Si tratta di un lavoro progressive con due pezzi oltre i dieci minuti, sezioni orchestrali, cambi di tempo continui e pesantezza tenuta al minimo. Il jazz la fa da padrone. Un’altra rivoluzione. Segue due anni dopo Mind Exploding, disco che elimina nuovamente gli elementi progressive ritornando al mondo hard rock, questa volta con sonorità decisamente più commerciali.
L’anno successivo Lawton registrerà il sottovalutatissimo Firefly con gli Uriah Heep (ascoltate Sympathy per favore) e i Lucifer’s Friend recluteranno prima Ian Cussick e poi Mike Starrs. I due dischi che verranno sono rock commerciale dimenticabilissimo. Lawton tornerà una volta negli anni ottanta per registrare Mean Machine, negli anni ’90 con Sumo Grip e i Lucifer’s Friend si riformeranno definitivamente nel 2014 portando alla luce due album, l’ultimo dei quali uscito solo lo scorso anno. I lavori degli anni ’80 e ’90 sono assolutamente trascurabili, invece quanto uscito dall’ultima reunion non è niente male. Nulla di rivoluzionario, difficile aspettarselo da degli ultra settantenni, ma riescono a regalarci comunque del solido hard rock con un cantante ancora impressionante. Parlando di anziani con voci strepitose John Lawton sembra essersi conservato ancora meglio di Glenn Hughes, considerando anche i cinque anni in più sul groppone.
La discografia dei Lucifer’s Friend è complessa, estremamente varia, anche se i dischi di alta qualità sono forse solo tre, ma …Where the Groupies Killed the Blues spicca irrimediabilmente. Spicca perché è diverso da tutto quello che era uscito prima, dopo e contemporaneamente. Il debutto era arrivato dalla Germania e in ritardo rispetto a Sabbath, Purple e Zeppelin, Banquet è incantevole, ma già vecchio considerando l’incredibile velocità compositiva del periodo. …Where the Groupies Killed the Blues è invece una perla unica, come Revival dei Winterhawk, parlando di un altro disco sconosciuto di cui vi ho già tessuto le lodi. Rispetto al capolavoro dei Winterhawk è certamente più complesso e non per tutti, ma ciò non toglie che si tratti di un enorme crimine non averlo lassù, nell’olimpo del rock assieme ai giganti.
Luca Di Maio
L’album non è su Spotify, ma finché dura, questo è da YouTube: