Vidi Einaudi dal vivo per la prima volta nel 2016, quando non ero ancora particolarmente dentro il suo genere, e rimasi assolutamente sbalordito. Era il tour di Elements e le composizioni più post-classiche della sua carriera, meravigliosamente arricchite da archi, percussioni ed elettronica, riempirono il bellissimo centro storico di Verucchio riuscendo ad ammaliare anche le orecchie più rock.
Negli anni a seguire ho approfondito molto la mia conoscenza del genere e della discografia del compositore torinese. Ho amato l’ambiziosissimo lavoro su sette dischi Seven Days Walking, e mi sono scoperto essere molto felice per la sua nuova ribalta con le colonne sonore di The Father e Nomadland. Poi a inizio anno l’uscita di Underwater non è riuscita a entusiasmarmi particolarmente, in quanto la decisione di tornale al piano solista lo ha leggermente allontanato dal mio gusto. In realtà il disco contiene alcune composizioni ipnotiche veramente strazianti (Flora su tutte), ma avevo bisogno di quegli archi, e di quella varietà a cui ci aveva abituato con le sue uscite degli ultimi quindici anni.
Fortunatamente si è presentato al Pala De Andrè di Ravenna con i suoi fidi musicisti continuando sulla scia di quanto ascoltai sei anni prima. In realtà l’apertura del concerto è tutta per Einaudi da solo e il suo Underwater. La scelta dei pezzi è stata per me magistrale; tutte le composizioni più malinconiche e impegnative si sono susseguite senza sosta proprio fino alla già citata Flora. Nonostante si stia parlando di piano solista, siamo molto distanti dai suoi grandi classici; oltre vent’anni sono passati dalle dolci melodie di Le Onde, che sono state soppiantate da una ripetizione squisitamente minimalista, arricchita però dalla sua più matura sensibilità neoclassica.
C’è giusto il tempo per riprendersi dal trance indotto da Flora che fanno il loro ingresso Redi Hasa al violoncello, Federico Mecozzi al violino e Francesco Arcuri alle percussioni e elettronica, e si comincia. Si susseguono pezzi da Seven Days Walking, Divenire e In a Time Lapse. La malinconia delle melodie si intreccia con quello che spesso è un groove ritmico dettato dalle percussioni e dagli archi stessi. Einaudi guida le danze, come sempre di spalle, ma la protagonista è sempre e solo la sua musica. La monumentale The Path of the Fossils chiude la fase più intensa di questo concerto grazie a dieci minuti di grandissima tensione.
C’è spazio per un breve ritorno al piano solista con Una Mattina, che risulta essere l’unico dei suoi vecchi classici suonati durante la serata ravennate. La chiusura è affidata a Divenire ed Experience, prima del brevissimo bis con Underwater. Experience in particolare me la immagino sempre suonata con delle chitarre elettriche e una vera batteria; non sarebbe migliore, ma sarebbe sicuramente interessante e metterebbe a nudo quell’anima rock evidente in molte composizioni di Einaudi. La chiusura è invece dimessa e dedicata alla pace; anche se il mood è quello di una pace dopo una lunga guerra, in cui la gioia lascia spazio alla desolazione.
La cosa più sconvolgente riguardo Einaudi è la quasi totale indifferenza della stampa italiana rispetto al suo successo. Ho fatto una rapida ricerca online per trovare le classifiche degli artisti italiani più ascoltati sulle piattaforme di streaming, e lui non compare mai. La realtà però lo vede secondo solo al fenomeno Maneskin, con il mondo trap, Laura Pausini, Ramazzotti, Bocelli e tutti gli altri a inseguire. Al di fuori dei nostri confini è giustamente riconosciuto come il principale compositore di classica moderna a cui ispirarsi; anche più dei vari Max Richter, Nils Frahm, Olafur Arnalds e tutti gli altri che anche a me piacciono tantissimo, ma ai quali il nostro Einaudi non ha nulla da invidiare, anzi, immagino gli abbia anche insegnato qualcosa.
Voi se potete andate a vederlo, non ve ne pentirete.
Luca Di Maio
Segue una playlist con la setlist del concerto. Questa volta alcune composizioni potrebbero mancare e l’ordine potrebbe non essere esatto. L’ho ricostruita io, nel caso perdonatemi.