Prima di andare al loro concerto ho descritto i Messa a un’amica come “avantgarde doom metal a tinte jazz con voce femminile blueseggiante”, ed effettivamente questa definizione mi piace assai. Penso che Close sia il disco più ingiustamente escluso dalla mia Top 10 di fine anno. Immagino sia rimasto fuori perché ci avevo già messo un po’ troppi dischi metal e volevo variare un po’, ma facciamo finta che ci sia. È sicuramente nella Top 5 dei dischi metal dall’anno, magari anche Top 3.
Close è un lavoro in linea con il loro passato, ma che ne espande la vena avanguardistica grazie a numerose sortite di jazz chitarristico, impreziosito da un ospite al sassofono, un po’ di piano elettrico, percussioni e tanto altro. Senza andare a scomodare influenze eccessivamente oscure, provate a pensare ai Black Sabbath, jazzati, più puliti, e con Anneke van Giersbergen alla voce.
Chiaramente la cantante non è Anneke, ma Sara, e rispetto alla più famosa olandese con la quale condivide il bellissimo sorriso, ha dalla sua una maggiore profondità e forse un range più ampio. In un mondo di urlatrici, una voce così dinamica è una benedizione.
Chi mi legge abitualmente sa che difficilmente mi addentro in un track by track, e anche oggi non farò eccezione. Close è un disco da assaporare nella sua interezza e ogni scissione in piccoli atomi lo indebolirebbe ingiustamente. Vengono alternate composizioni più classicamente stoner/doom (Rubedo, Pilgrim), ad altre più meditate e avanguardistiche (Orphalese su tutte). Ma l’elemento che più mi affascina è indubbiamente quello jazz, che non rimane limitato agli aspetti più evidenti (un sassofono), anzi, risplende ancora di più nei passaggi strumentali chitarristici. Quelle che in un doom tradizionale sarebbero delle incessanti ripetizioni, su Close diventano delle imprevedibili escursioni in libertà. Non stiamo parlando di Ornette Coleman o John Coltrane, ma c’è abbastanza da portare i Messa di diritto nell’universo avanguardistico, piuttosto che in quello strettamente doom metal.
Dal vivo, nel piccolo e strapieno Sidro Club di Savignano sul Rubicone, le coordinate cambiano nuovamente tornando su un doom più dritto e meno ricercato, ma non per questo meno affascinante. Durante l’intro di Rubedo mi parte la semicitazione classica “Che schifo questi gruppi moderni, sono tutte imitazioni dei BLACK SABBATH!”, alla quale il mio amico giustamente risponde che va bene così, il problema è farli bene i Black Sabbath. E i Messa li fanno splendidamente bene, continuando a sorprendere nei passaggi jazz portando alla mente la pazzesca cover band di Adam Wakeman Jazz Sabbath (sì, Adam Wakeman figlio di un certo Rick). Sara è sempre solare e sorridente rappresentando un eccellente contrappunto al mood piuttosto pesante delle composizioni; un po’ come la già citata Anneke nei primi The Gathering.
Per come è il mio gusto personale ultimamente, li vorrei anche più coraggiosi nella sperimentazione, ma considerando il salto effettuato su Close rispetto ai due dischi precedenti, sono abbastanza certo che ci arriveranno. Inoltre il gruppo è quanto mai focalizzato sulla propria musica; stanno battendo l’Italia come non vedo fare a nessun’altro gruppo metal da tantissimi anni, suonando a qualsiasi latitudine e genere di locale. E anche all’estero hanno già un seguito notevolissimo con presenze in Festival prestigiosi fuori dal circuito metal come il Roadburn. Ormai non è da tutti. La cosa bella è che loro se lo meritano; se lo sono guadagnato con il sudore, con la qualità, senza compromessi artistici di sorta, e senza cavalcare nessuna onda particolare. Stanno “solo” facendo la loro musica, cosa che dovrebbe essere normale, ma che purtroppo solitamente non è.
Luca Di Maio
Qui sotto trovate la setlist del concerto. Il bis è stato con Enoch, pezzo incluso nell’omonimo split con i tedeschi Breit, al momento non presente su Spotify. Grandissima chiusura doom degna dei migliori Candlemass.