Tre anni fa scrissi una sorta di breve racconto per provare a condividere quanto mi era riuscito a trasmettere Pilgrimage of The Soul dei MONO. Avevo immaginato due anime che si inseguono, ballano, scappano e alla fine si ritrovano insieme, unite. Questo Oath mi appare proprio come il suo seguito naturale sia sotto il profilo musicale, che come ipotetica storia che potrei raccontare.

La copertina ritrae proprio quelle due anime, questa volta in procinto di unirsi in matrimonio; come dal titolo poi, Giuramento. Il primo pezzo è nostalgico, il secondo è il sì, e a partire dal terzo “vediamo” la vita dopo il matrimonio. È un una unione di pace, una relazione senza scossoni, senza grosse ambizioni, senza grandi momenti, ma anche senza particolari delusioni. C’è qualche alto, ma non è mai altissimo, così come i bassi non portano mai il mood a livelli preoccupanti.

Musicalmente lo realizzano lasciando indietro tutta l’aggressività di Pilgrimage of The Soul; in cui le due anime dovettero combattere per trovare il loro posto nel mondo, in cui la chitarra distorta era l’elemento portante, con Riptide che rimane uno dei pezzi più violenti della loro discografia. In Oath invece tutto si appoggia su una dolce batteria e soprattutto sull’ottetto di archi e il quartetto di ottoni: è il disco più orchestrale della loro storia. È un disco che trovo anche molto in sintonia con la loro serie di EP natalizi che sta uscendo da un paio di anni a questa parte; è dolce, sereno, uplifting si direbbe in inglese in assenza una adeguata possibilità di tradurlo sinteticamente in italiano. Ti tira su, è positivo.

E infatti mi piace di meno. Ne riconosco la pregevolezza, dopotutto non ho mai trovato una nota dei MONO che non riuscisse a emozionarmi, ma li preferisco quando sono violenti, depressi, o entrambe le cose. Ma questo sono io. Il disco rimane incantevole come sempre. Ah, ed è una delle ultime produzioni di Steve Albini…

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