Oggi voglio parlare di quello che sarà per distacco il mio saggio dell’anno con quattro mesi di anticipo. Mostri di Claire Dederer, uscito l’anno scorso in USA e pubblicato in Italia a febbraio da Altrecose (casa editrice in collaborazione tra Il Post e Iperborea), è LA RISPOSTA alla questione del separare l’arte dall’artista. Una risposta non netta, non giudicante, non definitiva, forse inutile per alcuni, ma altresì l’unica risposta possibile.
Un paio di anni fa scrissi un lungo articolo sull’argomento (ci sono anche i video salvati su IG) in cui presi ad esempio il caso del Morrissey razzista e citai alcuni altri esempi, soffermandomi un po’ su Steven Wilson e il suo allore timido supporto allo stato genoc1da. A partire dall’ottobre scorso quel supporto è stato purtroppo ben meno timido e, considerando il mio infinito amore per lui mi è crollato un metaforico mondo addosso. Di questo parla Claire Dederer. Lo fa partendo dal suo amore per Polanski, messo pesantemente in discussione dal suo aver “drogato e sodomizzato la tredicenne Samantha Gailey”, rincarando poi la dose dicendo che “tutti vogliono scoparsi le ragazzine”. Passa poi per Michael Jackson e arriva finalmente alla macchia. La macchia è quella cosa che compare e non va più via. È quella cosa che ti fa venire un senso di disgusto, che altera tutto quando guardi Chinatown o ascolti Arriving Somewhere But Not Here. “Non siamo noi a stabilire che avvenga quell’alterazione. Non possiamo decidere della macchia. È già troppo tardi. Intacca tutto quanto. Che ci piaccia o no, la nostra comprensione dell’opera ha assunto una nuova sfumatura.”
Ma perché questo succede?
Questa secondo è l’intuizione geniale. Dederer ci dice che siamo convinti di formulare pensieri etici, di provare un fastidio per il cinema di Polanski o la musica di Steven Wilson sulla base della nostra etica, per un qualcosa che riteniamo oggettivo; e invece no, stiamo parlando di sentimenti, sentimenti morali. Per giustificare questi sentimenti li coloriamo con l’etica, sfoggiamo la nostra virtù, ma in realtà fatichiamo a sopportare quelle visioni o quegli ascolti perché siamo stati feriti, personalmente, e nel profondo. Ergo, la macchia che non va via.
La conclusione la lascio alla vostra lettura che stra-consiglio. Il saggio parla anche di Lolita, di Miles Davies e di tanto altro. È profondamente femminista e anti-capilasta (Mark Fisher e il suo Realismo Capitalista fanno capolino in varie occasioni). È un libro imprescindibile.