Love You To Bits dei No-Man è quell’anomalia che riesce a far riflettere sui concetti di gusto musicale, apertura mentale, pregiudizi positivi, pregiudizi negativi e semplicemente su quanto la nicchia di appartenenza sia in grado di condizionare il nostro apprezzamento per una qualsiasi opera d’arte.
No-Man è infatti il progetto Art Pop di Steven Wilson e Tim Bowness. Wilson è famoso per essere la mente dietro i Porcupine Tree e attualmente si trova in un periodo di discreta popolarità e controversie come artista solista; Tim Bowness è stato prima la voce del progetto No-Man e poi ha imbastito un’eccelsa carriera in solitario fatta di poco successo e tantissima qualità, culminata all’inizio di quest’anno nell’incantevole Flowers at the Scene. Love You To Bits è il primo lavoro a nome No-Man da 11 anni a questa parte ed è riuscito a stravolgere tutto.
Fino al precedente Schoolyard Ghosts le coordinate del progetto erano tra il pop e l’elettronica. È sempre stato molto difficile paragonarli ad altri artisti, ma il mondo era appunto quello del pop artistico a tutto tondo: inizialmente appartenevano all’universo lounge-elettronico, successivamente si sono fatte strada melodie non troppo orecchiabili, atmosfere rarefatte e la voce vellutata di Tim Bowness ad avvolgerci completamente. Love You To Bits cambia completamente le carte in tavola sconfinando interamente su territori synth-pop, wave e disco. Quindi?
Quindi torniamo alla mia premessa. Steven Wilson è una sorta di divinità nel mondo del Progressive Rock/Metal e come tutte le divinità o lo si ama (io lo amo) o lo si odia (non capisco chi possa odiarlo, ma mi arrendo all’evidenza). Una buonissima parte di chi lo ama difficilmente si è mai trovata ad ascoltare qualcosa senza delle chitarre, possibilmente distorte, e magicamente viene catapultata in un mondo diviso tra Bee Gees, Giorgio Moroder, New Order e Colony 5. Cosa ne pensa?
Il consenso generale per Love You To Bits sembra essere estremamente positivo. Chi ha odiato la svolta pop di To The Bone faticherà forse ad ascoltare più di due minuti di questo disco, ma chi ha digerito l’ennesimo cambio di rotta di Steven Wilson tende ad apprezzare molto anche Love You To Bits, nonostante spesso non ne abbia le basi musicali. Ma quindi com’è?
Si tratta di un disco estremamente singolare; sostanzialmente si snoda attraverso un’unica canzone di 36 minuti divisa in due lati (ah, il vinile) denominati Love You To Bits e Love You To Pieces, a loro volta divisi in cinque parti ciascuno. Da un punto di vista strettamente musicale è però una canzone sola con molteplici variazioni attorno allo stesso tema e allo stesso ritornello. Per me che ascolto anche tanta EBM e tanto synth-pop, questi elementi sono evidentissimi. Non è un disco dei VNV Nation o dei Covenant, ma tantissimi momenti sono chiaramente presi in prestito dal mondo dell’elettronica alternativa dark. Poi ci sono gli stacchi disco music con quelle linee di basso clamorosamente anni settanta, alternati spesso agli anni ottanta con vibrazioni pop wave reminiscenti dei New Order. La produzione invece è moderna e il nome di Giorgio Moroder ritorna spesso nei vari commenti. Vuol dire un po’ tutto e niente, ma se non altro è in grado di trasmettere il taglio del disco come scopo e imponenza.
È assolutamente sorprendente notare che questi pezzi possano teoricamente comparire in un momento elettronico di una discoteca rock, in uno stacco più orecchiabile di un serata elettro-EBM e anche in una discoteca house grazie a un DJ con un po’ di cultura musicale. Il fascino è trasversale e lo può essere solo grazie all’altissima qualità di tutti gli elementi in gioco. La voce di Bowness è sempre ammaliante e la produzione è studiata alla perfezione. Per la natura del lavoro non si può parlare di tecnica, di qualità dei musicisti e quant’altro, dobbiamo valutare la produzione in senso assoluto, quindi il songwriting, e onestamente c’è poco da discutere. La transizioni tra i vari momenti sono esemplari, le autocitazioni e i ritorni sono calibrati al millimetro; risulta orecchiabile, senza essere pacchiano. Una chicca insomma. Purtroppo senza pubblico.
Esatto, perché se torniamo a quanto sopra, buona parte del pubblico che generalmente ascolta Steven Wilson magari riuscirà in qualche modo ad apprezzarlo in quanto suo prodotto, ma sulla distanza lo dimenticherà tornando ad ascoltare In Absentia. I potenziali ascoltatori che potrebbero apprezzare Love You To Bits per l’eccellente lavoro che è probabilmente non sapranno mai della sua esistenza, e anche se dovessero saperlo, potrebbero essere scoraggiati dal vedere questi due nomi legati al rock progressivo.
I temi infatti sono due e mi ci metto in mezzo anch’io. Per quanto ascolti anche pop e synth pop, se non fosse un prodotto di Steven Wilson lo avrei considerato? Superato lo scoglio del primo ascolto lo avrei davvero apprezzato così tanto da considerarlo una chicca e scriverne una delle mie rare recensioni? Forse no. Ma il fatto che il mio cervello si sia convinto della sua bellezza grazie a Steven, non lo rendo meno vero. Giusto? Non saprei.
L’altro tema è relativo all’accessibilità della musica e all’essere bloccati in una nicchia. Steven Wilson disse un paio di anni fa “quasi tutti possono dire di aver ascoltato i Radiohead almeno una volta e aver potuto decidere se gli piacciono oppure no. Lo stesso non si può dire dei miei album perché ci sono tantissime persone che per vari motivi non hanno mai avuto l’occasione di ascoltarli e non hanno potuto prendere questa decisione”. Ancor di più questo discorso vale per Love You To Bits. Se potesse avere la giusta promozione, sono certo che riuscirebbe ad abbattere un sacco di barriere, entrare nelle discoteche e nelle playlist di mezzo mondo, invece di rimanere relegato alle cuffie di gente come me che lo ascolta solo grazie a Steven Wilson. Peccato, ma un gran bel peccato.
Luca Di Maio
[…] pressoché infinito. Debutta a inizio anni novanta con il progetto solista Porcupine Tree e con il duo No-Man assieme a Tim Bowness. Il primo comincia a cavallo tra psichedelia, rock progressivo e krautrock, […]