Avevo già battezzato il concerto dell’anno a luglio, ma i Pain of Salvation sono riusciti a farmi cambiare idea. Non me ne voglia il maestoso Bruce Dickinson, ma Daniel Gildenlow e soci mi sono rimasti ancora di più.
Il Locomotiv di Bologna è sold out e quando attaccano con la base elettronica di Accelerator mi sembra di esplodere. La scaletta pesca quasi solo dagli ultimi due dischi, con solo quattro escursioni su The Perfect Element e Remedy Lane. Alcuni immagino ne siano rimasti delusi, mentre io non avrei potuto chiedere di meglio. Sia In The Passing Light of Day che Panther sono tra i miei dischi progressive preferiti in assoluto. Che poi parlare dei Pain of Salvation come un gruppo progressive metal trovo che sia riduttivo e fuorviante, diciamo che ci ricadono per la mancanza di una categoria che li rispecchi perfettamente.
Gildenlow è un mostro. Un figo pazzesco, sempre sorridente, gioioso, esuberante, ma anche timido. Alterna assoli Pinkfloydiani a passaggi rappati senza alcuna vergogna. Comunica per tutto il tempo con il pubblico e con i suoi compagni. E che compagni. A parte lui, i Pain of Salvation hanno sempre avuto le porte girevoli, quindi non avevo grandissime aspettative sul gruppo, e invece, come per Bruce Dickinson poi, sono stati parte integrante della perfezione. A livello vocale Gildenlow fa tutto appunto, dal rap, a una voce profonda fino al falsetto power metal, ma evidentemente non basta. Quindi abbiamo il chitarrista Johan Hallgren, che oltre a essere devastante al suo strumento, vocalmente arriva ancora più in alto di lui come nella pazzesca Meaningless. E no, non basta ancora, su On A Tuesday Leo Magarit, normalmente batterista, tira fuori la voce di un angelo e lascia tutti a bocca aperta.
Poi il palco se lo sbranano tutti riuscendo anche a resuscitare un pubblico purtroppo un po’ troppo progressive, molto statico e imborghesito. E poi niente, su Panther Daniel è un animale, mentre su Icon e In The Passing Light of Day riesce a spaccarti in due con tutta l’emozione che trasmette. La paura di morire della titletrack del penultimo disco e la paura di essere vivi come nel pezzo conclusivo di Panther.