Come ho già scritto tante altre volte, per me i Porcupine Tree sono Steven Wilson, principalmente perché ho iniziato a adorarlo quando i Porcupine Tree erano ancora un progetto congelato. Di conseguenza il mio approccio a questa reunion, al nuovo album e a questo tour, è stato molto diverso rispetto al tipico fan storico del gruppo. Per me era un concerto di Steven Wilson, con Richard Barbieri e Gavin Harrison dopo tanti anni, e con due nuovi ragazzi come Randy McStine e Nate Navarro. E casualmente avrebbero suonato solo pezzi usciti a nome Porcupine Tree. E questo per me è stato.

Ed è stato bello.

Bellissimo.

Seduti in dodicesima fila nella platea del Forum di Assago si stava come dei maledettissimi leoni in gabbia; Blackest Eyes è stata devastante, volumi smodati, suono migliorabili e grandissima carica dal palco. Ma mancava qualcosa. Fortunatamente Steve sa già tutto e a fine canzone chiede “la security vi ha per caso incollati alle sedie? Alzatevi un po’ e venite vicino!”. Non ce lo facciamo ripetere due volte, tutti in piedi, quelli in fondo al parterre si fiondano davanti; noi eravamo abbastanza avanti e rimaniamo lì, ma in piedi, che cambia tutto. Ora si può fare headbanging, battere le mani senza sentirsi a un concerto di musica da camera, urlare senza sentirsi dei bebè sul seggiolone, cose così. Cambia tutto.

E si riparte con i primi tre pezzi del nuovo album, che suoneranno per intero durante il corso di tutto il concerto. Se vi ricordate, nella recensione non ho nascosto il mio disappunto per l’operazione Closure / Continuation e questo anomalo ritorno al passato del signor Wilson. Concettualmente non cambio idea, ma dopo il concerto devo ammettere che nessuno dei pezzi del nuovo disco sfigura al cospetto dei vecchi cavalli di battaglia. Suonano come il periodo Harrison del gruppo, ma lo fanno estremamente bene. Basti pensare che uno dei momenti più alti di tutta la serata è stato Chimera’s Wreck.

In quasi tre ore di concerto c’è spazio per tutto, e infatti quei tre pezzi sono seguiti dalla canzone più vecchia del lotto, e altro highlight della serata, Even Less. Steve canta con il cuore in mano usando tutta la voce che ha in corpo lasciandomi la pelle d’oca per tutto il tempo. Poi passano Drown with Me, Dignity (altro pezzo bellissimo del nuovo album con dei visual splendidi), The Sound of Muzak, Last Chance To Evacuate Planet Earth Before It Is Recycled e la già citata Chimera’s Wreck. È il tripudio e tempo per venti minuti di pausa.

La seconda parte del concerto è composta da sette canzoni, quattro delle quali da Fear of A Blank Planet. Se avete visto la mia classifica, è il mio disco preferito dei Porcupine Tree, secondo solo a Hand.Cannot.Erase nella discografia di Wilson. Quindi estasi. La titeltrack è un attacco frontale, ma anche melodica e coinvolgente, Sentimental è stato uno dei momenti più emozionanti della serata, Anesthetize invece… No, devo davvero parlare di Anesthetize? Parliamo della miglior suite progressive dai tempi di Dogs, ma che in più rispetto al classico dei Pink Floyd ha anche un ritornello pop orecchiabilmente devastante. Perfezione. Il set si chiude con Sleep Together, eseguita anche nel tour di To The Bone esattamente con lo stesso piglio, che se non fosse un concerto pieno di progster di mezza età mi sarei messo a pogare come un disperato. Nel mezzo la sorpresa Buying New Soul e i due pezzi mancanti da Closure / Continuation, con l’elettronica Walk The Plank altro highlight notevole.

È tempo di uscire di scena per poi rientrare a furor di popolo. Sul palco compaiono solo Richard e Steve che ci regalano una Collpase The Light Into Earth eseguita con solo synth e tastiere. Altro momento da incastonare nella memoria. Poi spazio per Halo, ancora una volta avrei voluto avere dei metallari vicino per fare body surfing, e la curiosa chiusura con Trains. Come detto dallo stesso Wilson, i Porcupine Tree non hanno mai avuto una hit, ma Trains è la cosa che gli si avvicina di più. È una conclusione anomala, ma allo stesso tempo estremamente emotiva. In un certo senso mi lascia ancora di più con l’impressione di aver assistito a un concerto di Steven Wilson con un nome diverso.

E alla fine cosa c’è di male? Nate Navarro non ha fatto rimpiangere Colin Edwin per un secondo, anzi, ogni volta che toccava quelle corde si sentiva il basso rimbalzarti nelle vene. Randy McStine è stato purtroppo un po’ in ombra; nessuna occasione per cantare, e solito ruolo da comprimario chitarristico come era John Wesley nei tempi che furono. Dopotutto vocalmente Steven Wilson è migliorato talmente tanto che non ha davvero più bisogno di nessun aiuto. Ma avete sentito la versione di Half-Light registrata l’anno scorso? Quanto avrei pagato per sentirla dal vivo.

Sulla setlist ci si può lamentare sempre, hanno una discografia talmente vasta che è impossibile accontentare tutti. Trovo comunque che abbiano fatto un buon lavoro di bilanciamento con tutto il nuovo album, a sottolineare il loro non essere solamente un carrozzone nostalgico, riuscendo anche a spaziare su buona parte della vecchia discografia con il giusto grado di eclettismo. Commentare Richard e Gavin mi sembra superfluo, ridondante, indegno. È stato tutto davvero bellissimo. Ora però spero che Steve si lasci questa reunion alle spalle, si concentri sul nuovo album solista (peraltro già scritto e registrato) e su un nuovo tour. Voglio che continui a guardare avanti, a mutare, a trasformarsi, a inventare. Solo così lo amo davvero.

Luca Di Maio

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