In pieno stile MangiaCassette oggi faremo un viaggio. Un viaggio che parte dal presente per andare nel passato e poi tornare nel presente. Partiremo dalla musica metal che tutti conosciamo, andremo alle origini, al primo spermatozoo che ha generato il bambino chiamato “Heavy Metal” e capiremo quando il bambino ha iniziato a gattonare.

Prima di iniziare il viaggio occorre però un passo indietro in modo da fare una distinzione tra il termine “metal” e il genere “metal”. Il termine ha origini piuttosto oscure, gli Steppenwolf sono stati i primi, nel ’68, ad inserire la locuzione “Heavy Metal” in una canzone (Born to be Wild, che di certo non è un pezzo metal, e nemmeno proto-metal), e la stampa ha iniziato poco dopo ad utilizzarlo per definire la musica di Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath, Uriah Heep, etc. In pratica negli anni ’70 i termini Hard Rock e (Heavy) Metal erano quasi intercambiabili; tuttavia nessuna persona che ha vissuto gli anni ’80 e ’90 si sognerebbe di definire Metal la maggior parte della produzione delle band sopracitate. Il Metal che noi conosciamo ha delle caratteristiche ben definite che sono state cristallizzate all’inizio degli anni ’80 e in pochissimi anni è poi esploso in almeno una decina di suoi sottogeneri.

Oggi non parleremo dei primi dischi metal. Non parleremo di The Number of The Beast (quello che potrebbe essere il primo disco 100% metal), non di Battle Hymns (che uscì lo stesso anno, nel 1982) e nemmeno di Dave  Mustaine che nel frattempo inventava il Thrash Metal assieme ad altri tre sgherri della Bay Area. Non parleremo di Saxon, Angel Witch e Diamond Head, o della New Wave Of Birtish Heavy Metal in generale. Andremo più indietro, andremo su band che suonavano heavy metal senza saperlo (o meglio, senza sapere di stare inventando un nuovo genere): per questo parliamo di proto-metal.

Qui di fianco avete la nostra cassetta e avrete già notato l’inevitabile: ho provato in tutti i modi a non partire con Black Sabbath, ma non si può. E’ davvero cominciato tutto da lì. Nel 1970 Tony Iommi e Geezer Butler avevano già scritto la definizione enciclopedica di Heavy Metal: riff pesantissimi, cavalcate, atmosfere cupe, occulto e assoli velocissimi. Anzi, già che c’erano nel frattempo hanno inventato anche il Doom. Avanti, passano pochissimi mesi e i Led Zeppelin aprono il loro album più soft e folk con una bordata devastante: Immigrant Song. Nonostante la violenza di Bonham presente dal giorno zero, Jimmy Page si era sempre mantenuto su binari squisitamente Hard Rock a tinte Blues, Immigrant Song invece è forte di un riffing devastante che assieme a Robert Plant urla “Heavy Metal” per tutto il tempo. Rimaniamo in UK, passano altri pochissimi mesi e gli Uriah Heep aprono il loro secondo disco con Bird of Prey: altra bordata. David Byron è il primo ad urlare così, Mick Box tira fuori un riff davvero incredibile che rende Bird of Prey un caso più unico che raro nella discografia di un gruppo che negli anni d’oro ha sempre corso tra rock’n’roll, hard rock e progressive.

Poi 1971, di nuovo Sabbath con Children of The Grave (sì, non ho inserito nessun pezzo di Paranoid), che non ha bisogno di presentazioni. Nello stesso anno abbiamo però una perla di una band olandese che come unica parte cantata ho un yodel: Hocus Pocus dei Focus. Il riff e l’assolo di batteria hanno fatto scuola. Passiamo ai Wishbone Ash le cui armonie vocali, almeno all’apparenza, li distanziano parecchio dall’heavy metal, ma non appena sentiamo le chitarre gemelle abbiamo già capito dove ha studiato Steve Harris. Seguono ancora Heep e Sabbath rispettivamente con Pilgrim e Sabbath Bloody Sabbath: la prima è epica e si chiude con una pesantezza quasi doom, la seconda abbina un riff devastante ad uno scream del miglior Ozzy.

I Deep Purple arrivano solo nel 1974 con la MKIII, prima per quanto mi riguarda erano davvero la definizione di Hard Rock. Invece anche grazie all’arrivo di Coverdale e Hughes, oltre che ad una ritrovata ispirazione di Ritchie Blackmore, hanno tirato fuori il capolavoro che è Burn e un grandissimo disco come Stormbringer. In questa collezione trovate le due titletrack, che fungono quasi da anticipazione a quello che saranno i Rainbow solo un anno dopo.

In mezzo ai due pezzi dei Purple abbiamo Doctor Doctor degli UFO e Run of the Mill dei Judas Priest. Judas Priest Anno Domini 1974, con l’unico pezzo scritto per la voce di Halford di quel discaccio che è Rocka Rolla. Purtroppo oggi non riuscirete a suonarlo perché Spotify ha tolto il disco dall’Italia, ma se non lo conoscete recuperatelo. Anticipa di quasi dieci anni i Priest futuri. Il pezzo degli UFO è una sorta di mantra per Steve Harris: heavy metal da stadio senza saperlo.

Nel 1975 abbiamo di nuovo Iommi, Ozzy e Blackmore, con la prima apparizione di un tale Ronnie James Dio. Symptom of The Universe sembra un pezzo metal e basta, poi arriva un break quasi reggae e non ci capisci più niente: stranamente meno conosciuta di altri pezzi anche meno validi, per me è lassù nell’olimpo. I Rainbow invece li troviamo adesso e in chiusura di Cassetta con Man On The Silver Mountain, Tarot Woman e Stargazer: IL METAL. Forse ho sbagliato tutto e dovevo fermarmi qui, Dio è mostruoso, mentre Blackmore non era mai stato così aggressivo, chiaramente le tinte hard rock ci sono ancora di brutto, ma con le ultime due siamo nel ’76 e la metamorfosi è quasi completa.

Il 1976 si era però aperto, in sequenza, con Jailbreak dei Think Lizzy, Sad Wings of Destiny dei Priest e Presence dei Led Zeppelin. Il primo non è decisamente un disco metal, ma spicca quella gemma che è Emerald. Anche qua Steve Harris prendeva nota perché la ritrovi in mille pezzi dei Maiden, in più c’è una parte psichedelica da paura. L’album dei Priest è decisamente più metal e Vinctim of Changes è tutt’oggi uno dei loro pezzi migliori, una suite quasi progressive che come Run of the Mill anticipa la loro produzione di qualche anno. Il disco del dirigibile è molto discusso, ma Achilles Last Stand non lo è: una cavalcata incredibile con uno degli assoli più struggenti mai sentiti, Jimmy Page poteva tranquillamente suonare il metal che noi conosciamo.

Il viaggio lo chiudiamo qui con i due pezzi da Rising, sempre del ’76. Non vado oltre perché la fine degli anni ’70 è un momento davvero buio per l’hard rock e il progressive: il punk è esploso, gli album sono nuovamente spariti in favore dei singoli e le band leggendarie che hanno spopolato durante i dieci anni precedenti o si sono sciolte, o hanno cambiato genere o sfornano immondizia. Il rock, quello un po’ più intelligente e meno commerciale, era di fatto morto. C’è voluto qualche anno per risorgere: i Priest hanno continuato a sperimentare, ma non faranno un disco totalmente metal fino a Screaming for Vengeance (“casualmente” anch’esso del 1982), la NWOBHM ha sfornato un sacco di gran bei dischi, ma parecchio imbastarditi con il punk (fino a TNOTB o forse, azzardo, a Denim and Leather dei Saxon l’anno prima), e anche in America stavano ancora lavorando su quello che diventò poi Epic/Power e Thrash Metal.

Sicuramente il metal deve tantissimo al punk. I pezzi di cui ho parlato sono spettacolari, sono tutti molto metal, ma la differenza rispetto alla produzione degli anni successivi è netta: gli manca quella carogna che si sente solo a partire dagli anni ’80 e che, senza il punk, probabilmente non sarebbe mai arrivata.

Luca Di Maio

Ora vogliamo il vostro parere. Qui di fianco c’è la Cassetta Interattiva. Diteci cos’è per voi Proto-Metal secondo le caratteristiche delineate sopra. Cercate di illuminarci con delle perle nascoste, ho cominciato io con King Of Twilight dei Nektar (che poteva tranquillamente essere parte dell’articolo), a voi la parola.

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