Le RanestRane mettono in musica il cinema e mettono il cinema nella musica; impresa titanica che continuano a svolgere meravigliosamente anche sul nuovissimo Apocalypse Now.
Dopo la loro magnum opus durata cinque anni e tre volumi dedicata a 2001 Odissea nello Spazio, per i loro standard si erano presi quasi una pausa con il rifacimento di Pink Floyd’s The Wall (il film di Alan Parker), ma era ormai giunto il momento di vederli alle prese con del nuovo materiale originale. Apocalypse Now è stata una scelta coraggiosa in quanto era difficile dire se il loro rock progressivo spaziale dal massiccio impiego di synth si sarebbe ben sposato con l’opera di Kubrick. Bene, a metà di Napalm mi trovavo già a bocca aperta.
La loro musica è al servizio del film, della narrativa e dell’atmosfera che vogliono ricreare, sempre. Così Apocalypse Now finisce per essere il disco di Massimo Pomo, il chitarrista. Nei lavori precedenti la sua attitudine Gilmouriana (per i profani dico Gilmouriana, per gli altri dico Rotheriana, che è simile ma non la stessa cosa) emergeva splendidamente negli assoli, ma per il resto la guida era Riccardo Romano all’armamentario tastieristico. Su Apocalypse Now quando partono in sequenza il tema di Kilgore e quello degli elicotteri, due riff tritaossa, capiamo che Massimo può fare tutto.
Napalm è forse il loro miglior pezzo di sempre; in venti minuti troviamo tutto quello che le RanestRane rappresentano. Per quanto si possano definire un gruppo neo-prog, fortunatamente non finiscono né nell’orchestralità esasperata tipo Marillon di Brave, né nella dicotomia riff/assoli onanisti propria di tanti altri gruppi. Napalm racconta il Colonnello Kilgore secondo Daniele Pomo, batterista, cantante e autore di tutti i testi. Noto con piacere che il buon Daniele concorda con me nel considerarlo il personaggio più malvagio del film. Per quanto Willard cerchi di vederlo diversamente, non c’è redenzione per lui, e il riff che accompagna le sue scene principali è la cosa più inquietante del disco.
I testi, rigorosamente in italiano, sono sempre tra il poetico e il forbito; leggono e rileggono il film come se si trattasse di un saggio di cinema scritto da un poeta. Vocalmente Daniele Pomo ha trovato pienamente la sua dimensione alternando linee vocali sorprendenti ad altre più convenzionali, quasi da musica leggera. Cuore di Tenebra PT II, come le più datate Fluttuerò e Buio Intorno, potrebbe teoricamente presentarsi sul palco dell’Ariston senza sconvolgere nessuno, se non per una qualità mai raggiunta in quei lidi.
The Horror è l’altra suite del disco, sedici minuti incentrati sulla figura di Kurtz. Il personaggio interpretato da Marlon Brando viene letto in modo più ambiguo da un Daniele Pomo che sembra quasi perdonarlo per la sua follia. La scena in cui racconta dei vietcong che mutilano i bambini vaccinati è musicata con il monologo originale in una desolazione ancora più drammatica. Non arriva al sublime della morte di HAL, ma quello temo sia irraggiungibile.
Riccardo Romano è delicatissimo ogni qual volta entra con un semplice piano a sottolineare l’emotività dei momenti. Spinge meno sull’elettronica in quanto il soggetto lo richiede meno, ma in più troviamo archi, fiati, armonica e strumenti tribali ad arricchirne la complessità narrativa ed emotiva. È indubbiamente il disco meglio arrangiato della loro carriera. Maurizio Meo al basso funge da collante tra i veri elementi; le sue linee sono dolcissime e suadenti nelle parti più rilassante, mentre diventano sempre taglienti quando c’è da spingere. Siamo di fronte a quattro musicisti straordinari.
Apocalypse Now è il primo lavoro della loro discografia a non essere in sincrono con la pellicola a cui è ispirato, ma lo è rispetto a un montaggio ridotto a 78 minuti che spero vedremo presto nei loro cine-concerti. E trovo che sia stata una scelta saggia. Dopotutto per fare 2001 Odissea Nello Spazio nella sua interezza ci sono voluti cinque anni; in questo modo sacrificando un po’ di durata abbiamo avuto subito la narrativa completa. E queste quasi due ore volano davvero.
Due ore che in piena tradizione concept album progressive anni Settanta sono pervase da temi che appaiono, ritornano, scompaiono, si ripresentano. Sotto questo profilo hanno sicuramente imparato la lezione di gruppi come Genesis e Yes, ma sono in grado di eseguirla con il focus totale sulla storia e l’emotività, mettendosi al totale servizio della narrativa. Cosa che nel mondo progressive non è assolutamente scontata.
Riconosco che non si tratti del gruppo più accessibile del mondo: concept album, talvolta spezzati su più dischi, suite che superano frequentemente i dieci minuti, sezioni intervallate dai dialoghi dei film, cantato in italiano forbito, assenza di un frontman. Ma cosa vi devo dire? Avrete sicuramente anche voi alcuni artisti con cui sviluppate una connessione emotiva diretta quasi inspiegabile; ecco, per me la RanestRane sono questo. Se non vi spaventano gli elementi di cui sopra magari lo saranno anche per voi?
Luca Di Maio