Separare l’arte dall’artista. Si può fare? Ha senso farlo? Perché farlo? Perché parlarne? Cosa vuol dire? Si tratta di un argomento che mi sta tormentando da qualche mese a questa parte, e sul quale in questo preciso momento non ho ancora le idee chiare. Quelli che seguiranno saranno quindi ragionamenti, tutti molto aperti, che spero mi porteranno a vedere le cose in modo più chiaro, magari scatenando anche un po’ di dibattito.

Quando si pone il problema di separare l’arte dall’artista?

Il problema si pone quando un artista che tanto amiamo viene coinvolto in qualcosa di estremamente controverso. E non sto parlando di droga, sesso, o preferenze sessuali particolari; parlo di omicidi, razzismo, violenza sessuale, pulizia etnica e cosette di questo tipo. Alcuni esempi:

  • Eric Clapton sta acquisendo grande visibilità per delle posizioni novax complottiste quantomeno esilaranti, ma già negli anni Settanta ha sostenuto l’estrema destra razzista e si è fatto avvocato della purezza della razza bianca inglese (recentemente si è anche scusato, ma tant’è).
  • Morrissey: se il suo estremismo vegano può da alcuni essere considerato controverso, direi che il suo appoggio al suprematismo bianco non può essere dibattuto.
  • Phil Spector era stato condannato a 19 anni di prigione per omicidio.
  • Nel Black Metal Norvegese abbiamo una selva di razzisti, omofobi e anche un paio di assassini condannati.
  • Steven Wilson e i Radiohead si sono più volte schierati implicitamente per Israele durante momenti piuttosto significativi delle aggressioni in Palestina.

Come avete visto sto parlando di temi difficilmente dibattibili. Non è questionabile che il razzismo e l’omofobia siano un male. Non è questionabile che uccidere un altro essere umano sia sbagliato. Non può essere questionabile che Israele stia sterminando un popolo (se avete dei dubbi su quest’ultimo punto, vi chiedo solamente di informarvi). Parlo chiaramente da realista morale, fieramente tale, e non accetto che mi si venga a mettere in dubbio il male o il bene di determinate azioni. Ma è assolutamente accettabile non esserne soggettivamente sconvolti pur riconoscendone il male.

Quindi se queste azioni, per quanto terribili, non suscitano in voi nessuna emozione particolare, potete passare oltre. Se invece vi ritrovate turbati da queste notizie riguardo i vostri idoli, e sentite un retrogusto tra l’amaro e il marcio quando li ascoltate, è giusto porsi la domanda: è legittimo separare l’arte dall’artista?

Non separiamo l’arte dall’artista

Utilizzerò due opinioni autorevoli riguardo le esternazioni del nostro Morrissey per approfondire l’argomento. La prima è del cantautore e attivista Billy Bragg, e lui non separa proprio nulla.

Morrissey nel 2019 aveva pubblicizzato il suo supporto al movimento suprematista bianco For Britain, fondato da una attivista anti-islamica. Aveva promosso un loro video, e quando interpellato è riuscito anche a fare del vittimismo a riguardo. Billy Bragg non gli risparmia nulla:

“La cosa preoccupante è che quando confrontato riguardo le sue esternazioni, Morrissey ha deciso di raddoppiare invece di scusarsi, distruggendo completamente la sua immagine di idolo dei reietti. Quando un tempo offriva gioia alle vittime di un mondo ingiusto e crudele, ora con il suo bigottismo si è unito ai bulli che li aspettavano fuori dai cancelli della scuola. Come attivista sono disgustato dalla sua trasformazione, ma come fan degli Smiths sono emotivamente distrutto.”

Non capisce come Brandon Flowers dei Killers possa considerarlo “ancora il Re”. Non si dà pace. Non separa. Billy non ascolterà mai più gli Smiths come prima, forse non li ascolterà più e basta; il sogno è infranto, il Re è nudo, anzi, è morto.

“Che Morrissey stia aiutando a diffondere le idee che hanno ispirato l’omicidio alla moschea di Christchurch è indubbio. Chiunque sostenga che questo non debba avere alcuna rilevanza circa la sua statura come artista dovrebbe chiedersi se, chiedendo che venga separato l’artista dall’arte, non stia anch’egli supportando la diffusione di un credo razzista.”

Separiamo l’arta dell’artista

Sullo stesso caso si è espresso Nick Cave, il quale con l’eloquenza che lo contraddistingue da sempre, prova a darci una visione differente.

“Come songwriter, come persona che crede nello straordinario potere curativo della musica, sono rattristato dal pensiero che canzoni scritte da quello che probabilmente è il miglior paroliere della sua generazione, canzoni come This Charming Man, Reel Around the Fountain e Last Night I Dreamed Somebody Loved Me, siano buttate nella spazzatura morale da quelli che le trovano ormai avvelenate dalla posizione politica del loro autore. Io rispetto e capisco il perché alcune persone rispondano in questo mondo, ma non posso fare a meno di pensare che sia una grandissima perdita per loro stessi”.

Visione forse un po’ troppo egoistica per chi è moralmente turbato nel profondo. Ma Nick va avanti.

“Forse è meglio lasciare che Morrissey pensi quello che pensa, metterlo in discussione quando possibile, ma lasciare che la sua musica continui a vivere, tenendo a mente che siamo tutti individui pieni di conflitti interiori – incasinati, lunatici e con tanti difetti. Dovremmo ringraziare Dio che ci siano tra di noi persone in grado di creare lavori di una bellezza al di là dell’immaginazione, anche se alcuni di loro finiscono preda di credenze pericolose e regressive”.

Ecco, qui tocca una corda differente. Ci dice di essere grati per queste opere meravigliose, anzi, forse di apprezzarle ancora di più in quanto create da esseri moralmente ignobili. Perché trovare qualcosa di bello in mezzo allo schifo più totale, fa forse ancora più piacere rispetto a trovarlo nel giardino dell’Eden.

Il problema che vedo in questa visione è sempre quello della separazione. Per molte persone la musica è inscindibile dal musicista, la canzone non ha lo stesso valore senza il valore che diamo al suo autore o interprete. Infatti, ancora una volta Nick Cave ci dice “Quando scrivo una canzone e la rendo pubblica, sento che smette di essere la mia canzone. È stata offerta al pubblico e se vogliono, possono prenderne possesso e diventare i suoi custodi. L’integrità della canzone non è più da ricercare nell’artista, ma nell’ascoltatore”.

Nick Cave separa.

E noi separiamo?

Bella domanda. Come alcuni di voi sapranno di certo, ho qualcosa di simile a un feticismo per Steven Wilson. Adoro sentirlo parlare, amo quasi tutto quello che ha composto, trovo che diffonda dei valori morali di grande spessore; è semplicemente uno degli artisti che amo di più al mondo. Ecco, Israele. Da quasi vent’anni considera Israele la sua seconda casa, ha collaborato con vari artisti locali anche splendidamente, e fino a un po’ di tempo fa non si era mai espresso sulla questione palestinese. In realtà non l’ha ancora fatto in modo articolato, ma il suo “all lives matter #antisemitismisracism” su Instagram durante una delle timide offensive palestinesi di qualche mese fa, mi risuona ancora in testa, come una selva di missili lanciati su civili indifesi (non voglio dover specificare che non sono frasi sbagliate in sé, ma solamente in quel tragico contesto).

Abbiamo una persona con una cultura enciclopedica, che ha girato il mondo, evidentemente con una sensibilità fuori dal comune, ma che cade preda della peggiore propaganda occidentale. Considerando il mio metro morale dovrei smettere di supportarlo, dovrei smettere di credere in lui, ma non ci riesco. E anche abbassando il livello di adorazione, perché dovrei godere meno nell’ascolto degli Smiths? Provo un retrogusto amaro se mi fermo abbastanza per sentirlo, ma alla fine sono in grado di godere della loro musica appieno, o quasi. Però allo stesso tempo provo qualcosa di molto simile a un senso di colpa. Perché non riesco a essere come Billy o come Nick?

Billy è chiaramente un realista morale, Nick direi di no. Nick è forse un realista estetico, e qui mi ci ritrovo. Svariati mesi fa ho scritto una lunga dissertazione sul gusto che mi ha portato a ragionare sul realismo estetico. Io credo fermamente che la qualità delle opere d’arte sia oggettiva, mentre il gusto personale possa essere assolutamente soggettivo. There is a Light That Never Goes Out è intrinsecamente una canzone di altissima qualità e pregevole fattura; nemmeno la demenza attuale del suo autore glielo può togliere. E io lo vedo, lo sento, ne godo. Ma allo stesso tempo il mio realismo morale mi impedisce di farlo appieno, o quantomeno di farlo senza un qualche senso di colpa. Perché so che il suo autore è una merda, anche questo oggettivamente e intrinsecamente.

Quindi?

Quindi io non ne esco. Per quanto trovi che essere dei realisti morali sia un pregio; essere dei realisti estetici non lo è necessariamente. Per dirla alla Nick Cave, Billy Bragg vive decisamente male il suo realismo morale, in quanto gli impedisce di godersi determinate opere artistiche che prima adorava. Nick Cave, per quanto abbia una bussola morale ben tarata, mi sembra più aperto nell’accettare il mondo per quello che è, merda inclusa, ed è in grado di godersi appieno anche l’arte creata dai soggetti più deprecabili. Se vi trovate nel mezzo come me forse state meglio di Billy, ma allo stesso tempo il conflitto che vi ribolle dentro non riesce a darvi nessuna certezza, né morale, né artistica.

Quindi, siate come Nick Cave. Infatti, chiudo con alcune sue parole piene di speranza:

“Che brutte persone facciano della bella arte è ragione di speranza. Essere umani vuol dire trasgredire, di questo ne possiamo essere sicuri, eppure abbiamo ampie opportunità di redenzione, di ergerci al di sopra delle peggiori parti della nostra natura, di fare del bene nonostante noi stessi, di creare bellezza dal non-bello, e di avere il coraggio di presentare al mondo la versione migliore di noi stessi.
La luna è alta e gialla nel cielo fuori dalla mia finestra. È un segno di bellezza sublime. È anche un grido di pietà – vale la pena salvare questo mondo! Che la luna continui regolarmente a splendere nonostante le condizioni attuali, è quasi un gesto di sfida, di speranza. La speranza che si può trovare in un atto di bontà da una persona disperata a un’altra, o che possiamo trovare in un’opera d’arte concepita da un pessimo essere umano. Queste espressioni di trascendenza, di miglioramento, ci ricordano che c’è del buono in quasi ogni cosa, raramente solo del male. Nel momento in cui ci rendiamo conto di questo, iniziamo a vedere del buono dappertutto, cosa che potrebbe raddrizzare la narrativa attuale secondo la quale l’umanità è una merda e il mondo è fottuto.”

Luca Di Maio

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