Ero convinto che la recensione di Imperial dei Soen sarebbe stata molto più semplice di così. Venivano da uno dei miei dischi preferiti del 2019, dalla mia canzone dell’anno (Lascivious) e dallo strepitoso primo singolo apripista Antagonist. Ero sicuro che sarebbe stato amore al primo ascolto. Invece Imperial si è rivelato essere un ascolto piuttosto ostico che ancora in questo momento mi lascia qualche dubbio.

E non dovrebbe. Non dovrebbe perché le canzoni ci sono. Sono tutte scritte bene, suonate da Dio, solide e cantate meravigliosamente. Si tratta di pezzi relativamente semplici; le coordinate sono sempre rock/metal progressivo, perfettamente aderente alla forma canzone, con ritornelli abbastanza orecchiabili, senza cambi di tempo particolari, sonorità strane e vocalità estreme. In sostanza è quasi esattamente come Lotus.

Forse è proprio questo il problema. Nel suo essere il diretto successore di Lykaia, Lotus era comunque riuscito ad aggiungere qualche tassello, principalmente di origine settantiana, e aveva sancito la definitiva liberazione dall’ormai ingiusta etichetta di cloni dei Tool (non poi così ingiusta se guardiamo solo al primo album). Con Imperial mi sarei aspettato un ulteriore passo in avanti (progressione) che non ho realmente trovato.

Le aspettative ti fregano sempre.

Ma ho continuato ad ascoltare. Sarà perché ho speso i miei soldini per il pre-order del vinile clear/smoke (sì, mi faccio abbindolare anch’io da questa roba) e volevo capire se erano ben spesi oppure no. E alla fine, posto che non c’è la progressione che andavo cercando, si ritorna al fatto che siamo di fronte a otto pezzi dalla qualità indiscutibile.

Lumerian è un incipit di tutto rispetto, anche migliore di quello di Lotus con Opponent, e sintetizza alla perfezione il suono del gruppo. Riff metal, aggressivi ma non troppo, ritornelli orecchiabili, la caldissima voce di Joel Ekelof, la batteria creativa di Martin Lopez, e dei climax da paura. Deceiver invece porta alla mente i Disturbed di Ten Thousand Fists, e non è una grandissima cosa, nel senso che alla fine suona molto già sentito. Poi a partire da Monarch non c’è più un pezzo debole.

Antagonist continua a essere il punto più alto del disco, ma anche la leggermente elettronica Modesty e la strappalacrime in chiusura Fortune dicono la loro. Mi è difficile descriverle nel dettaglio in modo molto diverso da quanto fatto per Lumerian in quanto alla fine sono tutte variazioni sullo stesso tema. Rispetto a Lotus si nota che il basso ha perso la prominenza che aveva, ed è un peccato, l’ennesimo cambio di bassista immagino abbia influito, e anche gli anni settanta sembrano essere usciti dal loro radar, sostituiti da sonorità più anni duemila.

Lo so che dovrei suonare più esaltato di così, ma le aspettative e la forma mentis mi stanno fregando. Quello che posso dirvi è che se avete apprezzato Lotus e non siete alla ricerca di grandi rivoluzioni sonore, probabilmente adorerete Imperial, magari anche di più. Se invece siete dei masochisti come me e provate una sorta di piacere perverso nell’essere messi in difficoltà ad ogni ascolto, forse Imperial non farà per voi.

Ora però torno ad ascoltare Antagonist.

Luca Di Maio

Questa la Gran Selezione aggiornata per l’occasione:

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