Per la cronaca, da quando ero ragazzino fino a qualche tempo fa non sono mai stato un amante della musica italiana. È il febbraio del 1999 quando mi ritrovo a guardare con la famiglia il Festival di Sanremo, solo un modo per stare uniti una sera, perché il mio interesse verso quel genere musicale/spettacolo è ai minimi storici, per la testa ho solo Metallica, Fear Factory e Machine Head. Nel seguire distratto quella serata c’è però un tizio con una pronuncia buffa e una voce particolare che attira la mia attenzione: Max Gazzé.
Il brano è Una musica può fare e l’artista è presentato come nuova proposta. Lì per lì mi fa quasi ridere: “una musica può fare lililli, lalalla, maggiore”. Dai ma che è, una presa in giro?! Sento però che oltre al tifare “lo strambo di turno che non vincerà mai”, cosa che mi è sempre piaciuta fare, c’è dell’altro, trovo qualcosa di curioso, di bello, che va oltre a quello che appena un pezzo banale. Mica male sto Gazzè. Tifo spudoratamente per lui, ma la canzone arriva ottava, dietro a pezzi che hanno fatto la storia della musica come Ti amo che strano di Francesca Chiara e Nessuno può fermare questo tempo di Elena Cataneo.
Dopo poco tempo confido a un caro amico che suona il basso “oh…pigliami per scemo ma a me Max Gazzé piace…”, risposta “guarda che è un grande bassista, suonava in un gruppo jazz, conosce la musica”.
Tutto vero. Per chi non lo sapesse il cantautore romano, dopo avere imparato a suonare il pianoforte a 6 anni, si dedica al basso elettrico e comincia a suonare in vari gruppi a Bruxelles per poi essere per cinque anni bassista, arrangiatore e coautore dei 4 Play 4 (gruppo britannico acid jazz, dei quali purtroppo non ho trovato nulla). Da qui tournée anche in Francia e Paesi Bassi. Una buona gavetta, non c’è che dire.
Nel ‘91 Max torna a Roma: inizia delle collaborazioni soprattutto con Niccolò Fabi, Alex Britti e Daniele Silvestri, e a scrivere brani con suo fratello Francesco Gazzé. Nel ‘96 esce il primo album Contro un’onda del mare presentato in forma acustica durante un concerto di Battiato (forti influenze di quest’ultimo sono da sempre presenti nei suoi brani) e la Virgin Records prende sotto le sue ali il compositore romano. Ritengo che questo sia uno dei lavori più sottovalutati (almeno a livello popolare) di sempre, trovate qualche pezzo nella cassetta, giudicate voi. Da qui la grande scalata: Cara Valentina (1997) e Vento d’estate (1998) sanciscono l’uscita dell’album La favola di Adamo ed Eva per poi arrivare dove eravamo partiti: Una musica può fare, anno 1999.
Ora, riassumendo un po’ il tutto, abbiamo un personaggio che dai 6 anni in poi ha dato la vita alla musica, fatto gavetta all’estero, suona il basso molto bene, è in grado di comporre musiche e scrivere ottimi testi. I brani sono orecchiabili e vanno in rotazione sulle radio come se non ci fosse un domani. Eppure, nonostante tutto, nonostante Una musica può fare non sia una canzonetta come forse appare, Max Gazzé risulta uno un po’ così, da non meritare attenzione: “fa canzonette”. Non ho la certezza che sia stato così dappertutto, ma ho avuto la fortuna di vederlo gratis in piazza nella mia città e all’uscita è stato fischiato. Nonostante fosse stato impeccabile. Fischiato perché strano, perché non è un Vasco, o un Ligabue. Quanto sarebbe bello se fossimo tutti un po’ più obiettivi, senza essere troppo veloci ad idolatrare elementi ridicoli e bastonare chi ha qualcosa da dire, magari rivalutandolo anni dopo, o peggio, quando non c’è più.
Mi lego al titolo: ho l’impressione (quasi la certezza, a dire il vero) che Gazzé sia sempre stato un artista sottovalutato, forse anche per colpa sua? Ha sbagliato a buttarsi nella corrida Sanremo? Può essere. O forse Max ha osato troppo, nella sua musica c’è melodia, c’è il jazz, ci sono concetti da seguire, forse non è il periodo giusto.
Passano gli anni, le collaborazioni (Paola Turci, Carmen Consoli tra le tante) e qualche premio, ma soprattutto un intensa attività in tour, che vede anche una buona affluenza di pubblico. Ma è nel 2014 la prima falcata verso la realizzazione del compositore: si concretizza infatti un progetto nato idealmente vent’anni prima con gli amici Niccolò Fabi e Daniele Silvestri: pubblica l’album di inediti Il padrone della Festa. Il supergruppo sbanca i concerti, ottenendo il tutto esaurito ovunque. È qui che Gazzé raggiunge una maggior credibilità da parte dell’ascoltatore medio. Sicuramente aiutato anche dal fascino del supergruppo, ma probabilmente la ottiene facendo proprio quello che gli piace di più, suonare assieme ai suoi amici, concludere un progetto fermo da tempo realizzando un suo grande sogno. In più il musicista che è sempre alla ricerca di nuove conoscenze, nuovi stimoli, nuove tecniche cattura nuovi spunti per cavalcare l’onda di un entusiasmo che ormai è alto e viene trasmesso nelle sue canzoni.
Il 2016 è il suo anno d’oro: un tour dopo l’altro compreso il suo primo a livello mondiale, in tre continenti. Sempre tutto esaurito. Mi vengono in mente i fischi nella piazzetta di paese, concerto gratis, e me ne vergogno, anche se non ero io. Chi la dura la vince insomma, purtroppo non per tutti, ma sono felice quando questo accade. Sono felice per Max, che stimo, come stimo suo fratello perché mi trasmettono la voglia di ascoltare le parole, la poesia trasportata dalla musica, le note che tessono melodie orchestrali, e talvolta teatrali.
Tutto questo viene fuori clamorosamente nel loro nuovo progetto più ambizioso, strano e complesso: Alchemaya. Come la definisce Max, un’opera sintonica (musica sinfonica e sintetizzatore), sfacciatamente originale, suonata con la Bohemian Symphony Orchestra di Praga ed intervallata da approfondimenti esoterici tratti da diversi testi religiosi. Divisa in due parti: 11 pezzi inediti nella prima e alcuni dei suoi brani più famosi riarrangiati nella seconda. Era un’opera di questo tipo quello che avevate in testa fin dall’inizio? Vero fratelli Gazzè? La musicalità ai livelli più alti, i concetti, la poesia: arte. Ma noi non eravamo ancora pronti. E forse se io fossi in voi a questo punto mi sentirei comunque realizzato, opinioni del pubblico a parte.
Vi lascio consigliandovi caldamente l’ascolto di Alchemaya perché la ritengo una perla della musica italiana moderna. E come di consueto vi lascio anche una Cassetta che celebra l’artista nel suo percorso, con l’augurio che tutti noi possiamo avere la possibilità di inseguire e realizzare più sogni possibili senza fermarci di fronte alle mille difficoltà, perché spesso…chi la dura la vince!
Fabio Baroncini