Per quanto mi riguarda Star Trek Picard era la serie più attesa del millennio, degli ultimi due millenni. Ammetto di essere un trekkie senza vergogna, di adorare The Next Generation, di preferire Picard a Kirk, di amare Data alla follia e di essere stato in lutto permanente dal momento in cui le avventure nel futuro dell’universo di Star Trek si sono concluse, ormai vent’anni fa con il deludente Star Trek Nemesis.

Certo, c’era il sottovalutato Enterprise, ci sono stati i film di Abrams, c’è Discovery, ma erano tutti prequel o reboot; da vent’anni non avevamo idea di cosa stesse succedendo nel futuro dei nostri amati. Ho letto decine di libri che continuavano la storia, alcuni molto belli come il rilancio di Deep Space 9, altri altalenanti come quelli con Picard e soci, altri ancora piuttosto brutti come quelli sulla Titan di Riker. Ma non era la stessa cosa. L’anno scorso a sorpresa l’annuncio di Star Trek Picard, ambientata vent’anni dopo Nemesis. Finalmente.

Non avrei voluto parlarne fino alla fine della stagione. Volevo farmi un’idea chiara, ponderare, non dare pareri troppo esaltati o troppo delusi, ma ho fallito. Dopo quattro episodi sento il bisogno di condividere quello che penso. Al momento una discreta delusione. Non fraintendetemi, rivedere Picard, Data, l’Enterprise D, lo Chateau Picard, è stato bello, bellissimo, emozionante. Il problema è tutto il resto.

Tutto quello che scriverò in questo momento potrà essere usato contro di me anche da me stesso nel momento in cui la serie mi smentirà, ma dopo 3 ore esatte di televisione mi sembra che non sia ancora successo niente. Anzi, mi sembra di essere lo spettatore di un pigrissima avventura di Dungeons & Dragons nello spazio.

Picard viveva tranquillo ma tormentato nel suo meraviglioso vigneto da circa quindici anni, Ammiraglio in pensione, annoiato. La classica quest da gioco di ruolo gli si presenta davanti sotto forma di una ragazza androide. L’avventura comincia, il nostro Jean-Luc inizia a reclutare il suo gruppo di allegri avventurieri: il pilota, la scienziata, la nerd, il picchiatore, la strafiga, manca giusto il chierico (o il medico in questo caso). Nel frattempo non succede nulla per avanzare la storia da un punto di vista narrativo, e succede ancora meno da un punto di vista psicologico. O meglio, c’è una tonnellata di esposizione riguardo gli ultimi vent’anni, ma è tutto vuoto, senza reali emozioni, se escludiamo quelle che ti descrivono meticolosamente senza fartele provare.

La grande forza di Star Trek risiedeva negli episodi autoconclusivi. In quaranta minuti erano in grado di sviluppare una storia complessa, straripante di idee originali, emozioni, psicologia, filosofia, etica. La conclusione di quasi ogni episodio era quel momento di catarsi che solo le migliori pellicole riescono a generare. Con la Serie Classica e The Next Generation lo abbiamo provato decine, se non centinaia di volte. In Picard dopo 3 ore di storia siamo forse nei primi dieci minuti di un episodio equivalente. Il ritmo è inesistente e il vuoto cosmico assordante.

Eh ma le serie sono cambiate”, “ora è tutto serializzato, bisogna adattarsi”, “anche Star Trek deve evolversi”, “non siamo più negli anni sessanta, nemmeno negli anni ottanta”, “il pubblico vuole sempre sapere cosa succederà dopo”. Sento già tutte queste obiezioni e rispondo con due semplici parole: The Orville.

La serie di Seth McFarlane ha fatto tutto quello che avrebbe dovuto fare Star Trek negli ultimi anni. Episodi autoconclusivi, un arco narrativo generale vago (come era The X-Files, ma coerente) e un equipaggio nello spazio a elucubrare riguardo quello che sta succedendo. E quello che sta succedendo parla generalmente a chiare lettere dei problemi della nostra società. Signori, The Orville, o meglio Star Trek meno ingessato. E sta avendo un discreto successo di pubblico. Quello che evidentemente sopravvive anche senza la grande corsa all’episodio successivo.

Nel frattempo ammetto nuovamente di aver apprezzato abbastanza la seconda stagione di Discovery nonostante sia completamente serializzata. A differenza di questi primi quattro episodi di Picard aveva un ritmo incalzante, non sembrava di essere nel primo atto di un film dopo così tanti minuti, era un incantevole omaggio alla Serie Classica e in vari episodi è riuscita a toccare delle corde nella tipica vena di Star Trek.

Inoltre se guardiamo al tema principale che sembra essere oggetto della serie, parlare di umani sintetici è una strada assolutamente in salita per cercare di dire qualcosa di significativo. Solo negli ultimi anni abbiamo avuto Westworld e Humans, nel recente passato Battlestar Galactica, la stessa The Next Generation e la Serie Classica. Per non andare a scomodare Blade Runner e il mondo del cinema. Tutte queste opere hanno trattato l’argomento con estrema intelligenza, alcune solo a sprazzi, ma ne hanno sviscerato tutti gli aspetti possibili. Riuscirà Picard a parlare dell’argomento senza risultare trito e ritrito?

Detto ciò mi auguro di essere solamente nei primi dieci minuti di un episodio di The Next Generation e che la storia evolva rapidamente in quello che Star Trek meglio sa fare: commento sociale originale attraverso brillanti idee futuribili e personaggi di grande umanità. Niente di più, ma anche niente di meno. Speriamo.

Luca Di Maio

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