Non avete idea di quanto male mi stia facendo scrivere questo pezzo, non potete nemmeno immaginare. Come sapete Star Trek Picard era per me l’evento dell’anno, del secolo, del millennio. Fino a due anni fa non avevo mai nemmeno osato sperare nel ritorno del mio capitano, ora non faccio altro che sperare di svegliarmi da questo orribile incubo. (attenzione, SPOILER indiscriminati)

No, il finale non basta. Devo ammettere che la scena nella simulazione tra Picard e Data è stata estremamente emozionante. La richiesta di Data è coerente con la sua psicologia e la realizzazione dell’invecchiamento e morte del nostro androide dolorosissima. È stato un meraviglioso addio per uno dei personaggi più amati della storia di Star Trek. Ma il bello purtroppo finisce qui.

Star Trek Picard è una serie scritta male, malissimo. Al confronto la prima stagione di Discovery era da Emmy, le prime soporifere stagioni di Enterprise quasi da Oscar, i peggiori episodi di Voyager quantomeno da pacca sulla spalla. Picard è pigra, annoiata, noiosa, semplice, banale, superficiale e con una tonnellata di esposizione.

Show, don’t tell dicono gli anglosassoni. Mostrare, non raccontare. Picard ci spiattella tutto in faccia senza mostrarci niente, senza farci arrivare da soli a nulla, senza spessore, senza psicologia, senza emozioni vere. Il finale di Seven of Nine è oltremodo ridicolo: nella sua ultima scena ci viene raccontato un suo dramma che non abbiamo mai visto e al quale non abbiamo avuto nessun modo di affezionarci. Lo stesso vale per Rios e il suo tormento riguardo la morte del suo vecchio capitano; non li vediamo i drammi, ne sentiamo solo parlare. Leggermente meglio la gestione di Raffi e Jurati, ma comunque troppo poco esplorate; si sfiora solo la superficie di una potenziale complessità interiore.

Il paradosso di tutto questo è che hanno avuto circa 9 ore per portare a compimento questa storia. Il tempo di dieci episodi o cinque film, e sotto la crosta non c’è nulla. Nella tragica lamentela di metà stagione mi ero dilungato molto riguardo la mia preferenza per le serie episodiche rispetto a quelle serializzate, ma arrivati alla fine non lo vedo come il vero problema di Picard; rimane semplicemente un’aggravante. In tutte queste ore sono riusciti a raccontare una sola storia, estremamente superficiale come messaggio, tragicamente poco brillante nell’esplorazione dei personaggi e con una trama che fa acqua da tutte le parti.

Già, perché tutto si muove come guidato da un Deus Ex Machina con pochissima fantasia e ancor meno voglia di rimanere coerente con sé stesso. La storia di Dahj, Soji, la Zhat Vash e del pianeta degli androidi è talmente inverosimile da farmi dubitare della sanità mentale degli sceneggiatori. Quando entrano in gioco le profezie la fantascienza perde spesso ogni genere di credibilità in quanto è estremamente probabile finire sul mistico e sul convenientemente inspiegabile. In Picard sembrano banalmente usate per creare senso di attesa, improbabili colpi di scena e nomi a effetto (“Soji è il distruttore!!!”) risultando totalmente slegate dagli elementi distintivi di Star Trek.

L’idea più interessante della serie, ovvero il Borg Reclamation Project, è stato solo un mero strumento narrativo utilizzato per portare avanti questa storia bislacca. Hugh, Seven of Nine e gli altri XBs avrebbero potuto essere una nuova occasione di esplorazione psicologica e invece sono stati ridotti a carne da macello. Avremmo potuto vedere degli ex Borg Romulani rientrare in contatto con la loro natura assieme a degli ex Borg Umani, magari mediati da Picard. Il Capitano avrebbe potuto nuovamente affrontare il fantasma di Locutus mentre crea ponti comunicativi tra i vari XBs di specie diverse. E invece no, perché esplorare la psicologia e i personaggi quando possiamo mostrare fratello e sorella Romulani, belli come dei modelli, impegnati in una relazione al limite dell’incesto?

Il miglior episodio della serie rimane quello con Riker e Deanna, non per il fattore nostalgia (che è comunque inevitabile e apprezzato), quanto perché è stato l’unico momento tranquillo; l’unico attimo in cui si sono fermati e hanno provato a entrare nella mente di Soji e di Picard. Tutto il resto è stato una frenetica corsa verso la soluzione del mistero, mistero del quale non interessa niente a nessuno perché non è stato costruito uno spessore psicologico, o quantomeno narrativo, sufficiente a farlo sembrare una cosa rilevante.

Anzi, sapete qual è l’episodio migliore? Lo Short Trek Children Of Mars. Peter Gabriel e la sua strepitosa cover di Heroes di David Bowie accompagnano un momento tragico nella storia della federazione; semplice, toccante, da tenere il fiato per tutto il tempo. Ci sono più emozioni in quegli otto minuti, che nelle nove ore di Picard.

Non ho ancora parlato del nostro Capitano, ma lo devo fare. Patrick Stewart è sempre un signor attore, non credo gli sia mai stato dato tutto il credito che merita (se volete vederlo in vesti completamente diverse provate a guardare la serie Blunt Talk). In Star Trek Picard lo trovo però sottotono, non brillante come al solito; anche se il problema potrebbe semplicemente essere la disastrosa sceneggiatura. Sotto il profilo evolutivo il suo rimanere quindici anni fuori dai giochi è poco credibile rispetto al Capitano che conoscevamo. Sono assolutamente accettabili le sue dimissioni da una Flotta Stellare che non condivide più i suoi valori, ma è difficilmente verosimile che si possa essere ritirato nel suo vigneto fregandosene completamente del destino della galassia. Il presupposto è completamente fuori personaggio, mentre è piuttosto centrato negli eventi di cui siamo testimoni durante la serie.

E poi il finale. Nel momento in cui scopriamo della sua malattia terminale iniziamo già a chiederci cosa si inventeranno per svuotare di significato anche questo elemento, e non appena viene introdotto il “golem” abbiamo già la risposta. La ciliegina sulla torta è che “non è immortale”, proprio come avrebbe voluto lui e nessuno dei presenti avrebbe potuto sapere. Ma siete seri? Durante quelle scene non sto vedendo l’episodio, ma gli sceneggiatori alle prese con la scrittura di tutte queste fregnacce, compiaciuti di essere riusciti a rovinare la storia di uno dei personaggi più iconici della storia della fantascienza.

Ci sarebbe altro da dire: l’improbabile figlio di Noonien Soong, la setta degli assassini ninja Romulani, le morti a effetto senza conseguenze di Hugh e Icheb, l’assurda cospirazione nella Flotta Stellare, le disparità economiche tra Picard e Raffi, i badanti ex Tal Shiar, il fatto che Jurati non sia in galera per omicidio, Riker che si fa dare una nave alla velocità della luce, e sicuramente ho già rimosso qualcosa, ma evidentemente non abbastanza.

Guarderò la seconda stagione? Fino a qualche settimana fa avrei detto sicuramente di sì, ora non lo so, ci sono rimasto troppo male. Magari mi passerà, magari no.

Luca Di Maio

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