Se questo titolo vi suona familiare è perché l’ho già usato qualche mese fa per parlare di Tim Bowness. E non deve essere un caso che la mia prima e unica menzione di Stefano Panunzi sia stata fatta proprio nello stesso articolo. Si tratta di due artisti abbastanza simili, ma anche molto diversi. Sicuramente hanno in comune l’appartenenza all’universo del rock progressivo contemporaneo, che per entrambi vuole più spesso dire Art Rock. Panunzi è un tastierista (se vogliamo ridurre un complesso armamentario elettronico a delle banali tastiere), mentre Tim è un cantante, ma entrambi hanno sempre fatto uso di ospiti di altissimo profilo sui loro dischi. Stefano potrebbe essere parte del mondo jazz, se non fosse un mondo terribilmente chiuso per certi versi. Infatti, adesso che ci penso, il musicista che forse gli è più affine si chiama Joe Gardner.
Joe… Gardner?
Joe scoprì l’amore per il jazz da ragazzino, quando il padre lo trascinò in un jazz club contro la sua volontà. Da quel momento in avanti non è esistito altro nella sua vita. Purtroppo però, nonostante innumerevoli tentativi di sfondare, si dovette accontentare di suonare in piccoli bar, intraprendendo come attività principale quella di Professore di musica alle scuole medie. Ha sempre amato il suo lavoro; vedere la scintilla negli occhi di futuri potenziali musicisti è una delle cose più belle che questo mondo ha potuto regalargli, ma il sogno di suonare con i grandi del jazz è sempre rimasto dentro di lui.
Un giorno, attorno ai 40 anni, la grande occasione che gli ha aperto il mondo dei giganti della musica. Ci si butta a capofitto, ma allo stesso tempo stenta ad abbandonare l’amata carriera di insegnante; altrettanto gratificante anche se in modi molto diversi.
Bella storia no? Beh, Joe Gardner non esiste. O meglio, esiste nel film d’animazione Pixar Soul, uscito il Natale scorso al cinema (ovvero su Disney+). Immaginate la mia sorpresa un paio di settimane fa quando mi sono trovato a leggere la storia di Stefano Panunzi. Insegnante di musica delle medie, ormai sessantatreenne, che da una ventina d’anni vive il sogno di incidere dischi meravigliosi assieme ad alcuni dei più grandi musicisti contemporanei. Tutto senza mai mollare la carriera più mondana.
La musica di Stefano Panunzi
Stefano fonda i FJIERI assieme al chitarrista Nicola Lori alla fine degli anni novanta, ma non troveranno modo di incidere nulla per più di dieci anni. Nel frattempo riesce a produrre il suo primo disco solista Timelines: strabiliante sotto svariati punti di vista.
Timelines
A scatola chiusa leggiamo la lista degli ospiti, in ordine di strabilio: Gavin Harrison, Mick Karn, Markus Reuter, Giancarlo Erra, Peter Chilvers e Haco. Oltre ad altri meno conosciuti, ma non meno validi. Certo, gli ospiti non bastano, anzi ho sempre odiato le parate di stelle che spesso risultano in lavori poco organici e soprattutto poco ispirati sotto il profilo emotivo. Ma non è così. E non è così fino a oggi. Tutti i dischi di Stefano Panunzi e del progetto FJIERI sono una sorta di parata di stelle, ma sempre solidi come songwriting e emotivamente intensissimi.
Tornando a Timelines, le coordinate sono quelle di un Art Rock molto debitore all’ambient jazz con una sensibilità progressivamente rock, ma senza mai affondare il colpo sotto il profilo elettrico. Questo sarà il marchio di fabbrica di tutti i dischi usciti a nome Stefano Panunzi, mentre il progetto FJIERI si fregerà della chitarra e dell’estro compositivo di Nicola Lori sconfinando spesso su lidi più rock e vagamente metallici.
Andando per similitudini le sonorità del Panunzi solista si avvicinano di più a lavori come quelli degli ex-Japan Jansen-Barbieri-Karn, mentre quelle dei FJIERI ai Porcupine Tree di Signify; il tutto con le dovute differenze del caso.
In Timelines, come in tutti i dischi fino alla sua prematura scomparsa, Mick Karn brilla di luce propria; ogni volta che ci sentiamo davvero coccolati, noteremo un suono di basso particolare, avvolgente, ipnotizzante. Non che gli altri bassisti siano di bassa caratura, ma ogni volta che Mick Karn tocca quelle corde le vibrazioni sono differenti. Forse il mio bassista preferito di sempre. Inoltre le due apparizioni della voce e della chitarra di Giancarlo Erra sono positivamente angoscianti, quanto i suoi sottovalutati Nosound.
FJIERI – Endless
Passano quattro anni e nel 2009 esce finalmente il debutto discografico dei FJIERI Endless. Le differenze sono appunto la chitarra di Lori, la massiccia presenza di Richard Barbieri ai synth e l’inizio del sodalizio part time con Tim Bowness e Andrea Chimenti. Come già nel disco precedente la grande abilità di Panunzi (e Lori) è quella di scrivere dei pezzi semplici, ma articolati, che sono una base perfetta per le improvvisazioni, gli assolo e la vocalità dei loro illustri ospiti.
Ad Occhi Chiusi cerca di far notare al mondo la profonda voce di Andrea Chimenti grazie ad atmosfere estremamente emotive e al sapiente inserimento dei fiati di Nicola Alesini. Mentre Breathing The Thin Air ci regala un Tim Bowness in grandissima forma in un pezzo ispiratissimo che culmina in un violoncello da pelle d’oca. La giapponese Haco chiude la triade di cantanti strepitosi sulla frenetica Soul Eaters bissando la grande prestazione già sentita su Timelines. La sua è una delle pochissime voci con un timbro realmente assimilabile a quello di Bjork.
A Rose
Lo stesso anno esce anche A Rose, seconda fatica a nome Stefano Panunzi, che continua idealmente da dove ci aveva lasciati con Timelines. Ancora una volta Mick Karn ci coccola, Chimenti ci eccita, Bowness ci fa piangere, Erra ci inquieta, Theo Travis ci meraviglia. È inevitabile citare tutti gli ospiti perché sono quelli che saltano all’orecchio, ma è importante capire che sono in grado di farlo grazie a delle canzoni emozionanti e scritte benissimo da un Panunzi sempre in movimento.
Sì perché se le coordinate generali rimangono sempre le stesse, le sperimentazioni sonore si susseguono, il lavoro tastieristico/elettronico è articolato e la fantasia negli arrangiamenti sembra essere sconfinata. Sono semplicemente dei dischi meravigliosi.
FJIERI – Words Are All We Have
Passano sei lunghissimi anni e nel 2015 esce Words are All We Have a nome FJIERI. L’elemento inedito è la presenza di Jakko Jakszyk alla voce su tutti i pezzi a parte uno. Jakko è cantante e seconda chitarra dei King Crimson, nell’attuale incarnazione a tre batterie, e al contrario di quello che ci si potrebbe aspettare ha probabilmente contribuito a portare i FJIERI maggiormente verso la forma canzone.
Una buona parte dei pezzi di Words Are All We Have sono meno esplorazioni jazzistiche e più canzoni pop/rock, con la voce di Jakko a normalizzare un po’ il tutto in un risultato vagamente simile ai Talk Talk più artistici. Sono invece più simili ai dischi precedenti il bellissimo esempio elettro-jazz di Sati e la resurrezione del capolavoro di Barbieri / Bowness Flame.
Jakszyk ha addirittura ri-registrato due di queste canzoni per il suo ultimo album solista. In generale trovo che la sua voce vada un po’ troppo a normalizzare l’esperienza rendendo alcune canzoni eccessivamente generiche. Forse il disco meno entusiasmante di questa eccellente discografia.
Beyond the Illusion
Ancora sei anni di silenzio e tra pochi giorni uscirà Beyond the Illusion a nome Stefano Panunzi. Scriverò a breve una recensione specifica, ma quello che vi posso dire è che continua egregiamente la traiettoria dei dischi solisti. Riesce a spingersi oltre elettronicamente, pur mantenendosi ai soliti confini tra jazz e art rock. Gli strumentisti sono sempre di altissimo livello, con un violoncello davvero azzeccato. Forse la voce di Grice Peters non è all’altezza dei giganti usati precedentemente, con il picco inarrivabile in Endless, ma sono dettagli. Degna di nota una versione ri-arrangiata di I Go Deeper; pezzo scritto da Panunzi/Bowness presente nel meraviglioso Flowers at the Scene di Tim Bowness, che nella sua versione originale considero una delle migliori canzoni di tutto il 2019. Qui è diversa, più jazz, quasi funk, assolutamente interessante.
Tornando a Joe Gardner
Mi immagino Stefano Panunzi come una persona felice di poter dare al mondo due cose essenziali: formazione artistica alle future generazioni e piacere artistico a tutti gli altri. Sta avendo la possibilità di suonare con alcuni dei musicisti più validi della scena e lo fa con totale libertà artistica in quanto si produce da solo. Una persona così dovrebbe essere supportata semplicemente a occhi chiusi.
Luca Di Maio
Grazie Luca, mi piace moltissimo!
Grazie grazie! Direi che è la miglior approvazione che potessi avere 🙂
Oggi ho riletto il tuo articolo… mi ha emozionato! Grazie di cuore!
mi fa davvero tanto piacere! 🙂
[…] poche settimane fa ho parlato lungamente della carriera del musicista romano Stefano Panunzi; della sua vita e soprattutto dei suoi lavori che riescono brillantemente a danzare sulle sottili […]