Ho già parlato ampiamente di Steven Wilson cercando di farvelo apprezzare il più possibile, quindi per non ripetermi eccessivamente in occasione del suo recente concerto a Bologna, proverò a fare qualcosa di diverso. Vi trasmetterò le mie impressioni sull’evento in base alle emozioni che si percepiscono, banalmente riassumibili nella dicotomia chiaro/scuro. Cominciamo.
Chiaro/scuro: l’intro rispecchia perfettamente questa linea. Mostra immagini con una scritta sovraimpressa: inizialmente positive o quantomeno in concordanza, man mano che passano i secondi le scritte e le immagini vanno sempre più in contrasto e la musica di sottofondo è sempre più angosciante. Un incipit disturbante che porta in pochissimi secondo dal sorriso al panico e dalla luce alla rabbia.
Chiaro: si comincia con due estratti dal controverso ultimo album To The Bone. Sia Nowhere Now che Pariah sono al massimo pop/rock e, a parte il ritornello della prima, liricamente non sono di certo canzoni felici. Tuttavia trasmettono emozioni positive e il concerto inizia con il sorriso. È sicuramente tutto chiaro e “luminoso”. Entrambi gli assoli, non tecnici, ma emozionali, sono un’esplosione. La tenda olografica con l’immagine di Ninet Tayeb rende il tutto ancora più magico.
Scuro: Home Invasion marca un repentino cambio sia emotivo che musicale. Si gioca con il metal estremo fuso al jazz in un pezzo di una violenza inaspettata. Alex Hutchings non fa rimpiangere Guthrie Govan in un assolo clamoroso e Craig Blundell è assolutamente devastante alla batteria. È sempre scurissimo anche il primo pezzo preso dalla discografia dei Porcupine Tree Don’t Hate Me. Se possibile più oscuro dal vivo che su disco, Steven trasmette un imponente senso di inadeguatezza e disagio ed è sempre straziante sul “Don’t hate me, I’m not special like you, I’m tired and I’m so alone”.
Chiaro: l’introduzione a The Same Asylum as Before è esilarante. È evidente che lo stacco dalla pesantezza precedente sia voluto. Steven prova a scommettere con il pubblico di riuscire a suonare l’assolo della canzone senza guardare la chitarra. Fallirà, è troppo nerd per riuscire a farlo, non che gli manchi la tecnica, ma semplicemente non ha l’attitudine per fregarsene se sbaglia una nota. Il pezzo è forte critica sociale, ma il suo falsetto dichiaratamente a omaggiare Prince lo rende uno dei momenti più leggeri della serata.
Scuro: smorzare tutto serve sicuramente per poter reggere un quartetto quasi da suicidio. Get All You Deserve apre la strada, Ancestral prende il volo elevandosi allo status di uno dei pezzi più belli mai scritti, mentre la doppietta No Twilight Within the Courts of the Sun e Index è qualcosa di mistico, tetro e oscurissimo con tutto il gruppo ai massimi livelli sia tecnici che di presenza scenica. Anche qui siamo a cavallo di così tanti generi musicali che trovarne una definizione risulta impossibile e superfluo. È semplicemente musica.
Chiaro: la scaletta è perfettamente studiata intorno a questi cambi emotivi in quanto l’unico pezzo possibile adesso è proprio Permanenting. Siamo oltre il chiaro, arriviamo alla gioia più pura. Un omaggio alla sua passione per il pop degli Abba, per il quale chiede a tutto il pubblico di alzarsi e disco dance. Lo abbiamo fatto tutti, era necessario scaricare la tensione accumulata.
Scuro: Song of I è sicuramente il pezzo più sorprendente dal vivo. In studio mi era sempre suonato un po’ piatto e incompiuto nel suo essere trip hop senza osare troppo. Il pesantissimo riarrangiamento metal, unito alle ipnoticissime immagini proiettate sulla tenda olografica, lo rendono uno dei veri momenti salienti della serata. Scuro, ma non troppo.
Chiaro: secondo passaggio in terra Porcupine Tree con la sempre emozionante Lazarus. Una bella ballata rock che di fatto prepara il terreno per un altro trittico impegnativo.
Scuro: Detonation, Vermillioncore e Sleep Together sono sicuramente l’apice tecnico del concerto. La prima è un pezzo jazz/fusion/metal estremo, la seconda non si riesce proprio a descrivere (ma si ricorda sempre un Nick Beggs strepitoso al basso), mentre la terza con la sua elettronica opprimente continua a tenere col fiato sospeso. Anche su questi pezzi la tenda olografica è fondamentale a contribuire a trasmettere quel senso di inquietudine e di trip allucinogeno già intrinseco nelle canzoni.
Chiaro: il bis parte a sorpresa con una versione solo chitarra e piano della ballatona Sentimental seguita a ruota da The Sound of Muzak. Con Sleep Together sono tre pezzi consecutivi dalla discografia dei Porcupine Tree e ci riportano indietro. Il pubblico canta il ritornello di The Sound of Muzak, gioisce, scarica la tensione e se ne potrebbe andare con il sorriso sulle labbra. Ma no. Non da un concerto di Steven Wilson.
Scuro: si chiude con The Raven That Refused to Sing e se ne esce vivi a fatica. Il video della canzone sullo sfondo è sempre straziante, la voce di Steven ti svuota dentro e la chitarra sul finale si prende quel poco rimasto. In realtà grazie al video percepisco un improbabile lieto fine nella canzone, che probabilmente non esiste, ma è trasmesso dall’incredibile spettacolo a cui abbiamo assistito. Nonostante l’atmosfera opprimente, la gioia è inevitabile di fronte a cotanto splendore.
Spero di essere stato in grado di trasmettervi anche solo un briciolo delle emozioni che viaggiavano quella sera al Teatro Auditorium Manzoni di Bologna. Adesso il tour di To The Bone si sta concludendo, nel 2019 dovrebbe lavorare al nuovo album previsto per il 2020 e dopo tanti anni anche al primo disco dei No-Man con Tim Bowness. Durante l’attesa godiamoci la cassetta che ripercorre esattamente la scaletta della serata e teniamoci strette tutte le emozioni, sicuramente la prossima volta saranno diverse.
Luca Di Maio
[…] sembra non partire mai e rimane impresso solo perché abbastanza slegato dal resto del lavoro. Discorso diversissimo dal vivo: arrangiamento pesantissimo e oscuro, diventa una sorta di trip metal hop che decolla devastante […]