Molti pensano che Songs of a Lost World sarà il disco di addio di Robert Smith e soci, un disco che riprende il loro periodo più osannato e lo aggiorna al 2024 senza snaturarlo, ma anche senza ricalcarlo come se fossero alle prese con un revival. E potrebbe esserlo l’ultimo. Se l’alternativa è l’uscita di una variazione sul tema ogni due anni che ne capitalizza solo il successo, preferisco che sia l’ultimo; allo stesso tempo perché non dovrebbero regalarci un nuovo aggiornamento tra 5 o 10 anni?

E poi cosa gli vuoi dire a dei sessantacinquenni che ti chiudono il loro primo album in 16 anni con un pezzo di dieci minuti quasi tutto strumentale? È un disco di basso, da tradizione post-punk, ma anche molto più chitarristico di quello che ci si aspetterebbe; la chitarra ritmica è ectoplasmica, mentre quella solista è decisamente più melodica e coinvolgente.

Ci sono pezzi orecchiabili e altri su cui lavorare di più, ma nel complesso quello che colgo io è che Songs of a Lost World è un disco per loro, non per i fan. E proprio per questo i fan lo stanno adorando.

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