Gli inglesi hanno una locuzione perfetta per definire quello che i The Darkness sono sempre stati per me: “guilty pleasure”. Spesso in italiano è tradotto come “piacere proibito”, ma non rende assolutamente l’idea. Si tratta di quel qualcosa che nel suo piacerti ti fa sentire in colpa, o meglio, ti fa vergognare perché non ha quasi senso che ti possa piacere.

I The Darkness hanno tutto per farsi odiare secondo i miei canoni: testi leggeri, zero impegno, pezzi brevi e semplici, quasi tutto falsetto estremo e un grado di “cazzonismo” esagerato. Ecco appunto, li amo. E io sono quello del rock progressivo tecnico ed emotivo, certo. Sin dal mega successo di Permission To Land e dal loro primo concerto non ho più potuto fare a meno di loro. Senza reali meriti sportivi.

La loro musica è sempre stata semplice, un continuo omaggio ai Queen, ma senza l’estro creativo di Freddie e soci. Non si sono mai presi sul serio né da un punto di vista estetico, né compositivo, né lirico; sono dei cavalli pazzi. Lo erano a vent’anni e lo sono quaranta; dopo uno scioglimento, dopo aver visto Justin Hawkins dilapidare tutto il suo patrimonio in cocaina, dopo sei dischi e tantissimi tour. Dopo aver toccato la possibilità di diventare delle superstar globali con Permission to Land, per poi non esistere più in soli tre anni. Eppure si sono riformati, fanno un disco ogni due anni, suonano in locali di medie dimensioni e, per dirla nel modo più semplice e diretto possibile, continuano inesorabilmente a spaccare il culo.

Il nuovo disco Easter is Cancelled li rappresenta in pieno. Continuano a non prendersi sul serio, continuano a omaggiare i Queen a ogni occasione e, come sopra, continuano a spaccare il culo. Anzi, sulla scia del precedente Pinewood Smile, persistono nell’incorporare notevoli influenze metal nel loro sound. Una prima avvisaglia si era intravista con la loro cover di Street Spirit (Fade Out) dei Radiohead, nella quale sembrano imitare più gli Iron Maiden che il gruppo di Thom Yorke, ma è veramente esplosa con gli ultimi due album. In particolare Rock’n’Roll Deserves to Die e Easter is Cancelled sono pezzi più metal che rock, soprattutto la titletrack porta chiare influenze priestiane. Questo sembrano saperlo bene infatti si prendono in giro da soli nella demenza di Heavy Metal Lover.

Il resto del disco scorre bene tra ballate coinvolgenti (ma nessuna è Love is only a feeling), qualche pezzo più sui generis come Choke on It e Deck Chair (di nuovo i Queen) e altri più dimenticabili. Non siamo di fronte a un capolavoro, di Permission to Land ne hanno fatto uno e non si ripeteranno, o meglio, continueranno a ripetersi senza quel genio e sregolatezza presente nel debutto. Ma Easter is Cancelled passa bene, in poco più di mezz’ora riesce a farci cantare, ballare, ridere, scuotere la testa e anche vergognare un po’. Sufficiente per un disco no?

Dal vivo la situazione è anche migliore. L’ultima volta che li vidi fu circa tre anni fa e non fecero prigionieri. Suoni devastanti, spettacolo mirabolante, con un Justin Hawkins che meriterebbe ben altri palchi. Suona la ritmica, tutti gli assoli, occasionalmente la tastiera, canta tenendo alla perfezione il suo falsetto, intrattiene il pubblico tra i pezzi, scende addirittura in mezzo alla folla sulle spalle di un energumeno suonando un assolo esteso. Si divertono e fanno divertire; non servono scenografie futuristiche, video e quant’altro quando riesci a trasmettere così bene la tua incredibile voglia di stare su quel palco. Le scalette di solito includono quasi tutto il primo disco e una selezione degli altri, come è giusto che sia. Però non danno mai l’idea di essere lì solo per quello, non sembrano mai un gruppo nostalgia, non fanno mai il compitino, vengono sempre per spaccare tutto, e ce la fanno, costantemente.

Se non li hai mai sopportati queste due righe non ti faranno cambiare idea, Easter is Cancelled non ti farà gridare al miracolo, anzi, continuerai a prenderci in giro per essere così invasati per queste canzonette e quella vocina stridula. Però se idolatri i Greta Van Fleet abbi il coraggio di rimanere zitto e di goderti in silenzio il tuo molto più “guilty pleasure”; almeno i The Darkness hanno la loro identità e dal vivo non valgono meno di tanti nomi illustri. Se invece li ami come me vai, fatti due risate, vieni a spaccarti le ossa al concerto e… tieni giù le mani dalla mia donna, MOTHERFUCKEEEEEEEERRRRR!

Luca Di Maio

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